S e deve incontrare qualcuno, preferisce dargli appuntamento al confine tra Cita e Jacuzia, un luogo geografico ben noto agli appassionati di Risiko. Se si guarda in tasca non trova il telefonino ma decine di coloratissimi segnalini, quelle pedine che nei giochi da tavolo si spostano di casella in casella sperando di vincere la sfida. Strano? No, perchè il mestiere di Spartaco Albertarelli, milanese, responsabile creativo dell'Editrice Giochi, è giocare tutto il giorno, 24 ore su 24. Non potrebbe fare altrimenti per creare decine di giochi di società e di simulazione sempre accattivanti e pluripremiati che vengono tradotti persino in giapponese e in coreano, da «Futurisiko» a «Il gioco del fantacalcio», da «America's Cup» a «Petropoli», da «Le avventure di Indiana Jones» a quelli ispirati alle trasmissioni televisive come Affari tuoi e L'isola dei famosi.
Quando ha scoperto questa sua insolita vocazione?
«Da quando avevo sei anni e giocavo con il Lego. Poi a dodici anni mio padre mi regalò L'allegro chirurgo, un gioco molto famoso negli anni Settanta in cui bisognava infilare le varie parti del corpo in una sagoma di plastica senza toccare il bordo esterno, per non far suonare e diventare rosso il naso del paziente. Fu proprio L'allegro chirurgo a farmi capire che non mi divertivo tanto a giocare quanto a scoprire i meccanismi del gioco e ad inventarne di nuovi. La mia fortuna è stata aver avuto l'opportunità di farlo diventare una professione».
Quali sono i suoi ferri del mestiere?
«Il mio laboratorio è a casa, a Milano. Sul mio tavolo da lavoro vi sono altri giochi, mazzi di carte, prototipi, dadi, libri di storia, di geografia e di scienza per ambientare le trame, vecchi Monopoli, i primi Risiko e poi il computer per preparare graficamente la plancia di gioco e vederla realizzata tridimensionalmente»
Dove prende ispirazione per i nuovi giochi?
«Dalla vita. Creare un gioco è un po' come scrivere un libro: l'idea può nascere quando meno te l' aspetti, da una storia che hai sentito chissà dove, oppure guardando un film di fantascienza o ascoltando un fatto di cronaca. Ti domandi: e se diventasse un gioco? Poi serve creatività e logica per riuscire a metterlo in scatola».
Lei lavora tutti i giorni con carte, segnalini, dadi: come definirebbe il suo mestiere?
«Non mi piacciono le definizioni straniere ma mi considero un game designer, un designer del gioco da tavolo. E ciò perchè mi occupo di tutto, dalla stesura delle regole alla veste grafica, dagli stampi per gli eventuali pezzi di plastica alla dimensione della scatola che deve essere calcolata al millimetro per poter contenere tutte le parti di un gioco».
Ma nell'epoca dell'elettronica, della playstation e di wii, i giochi di società hanno ancora successo?
«Più di una volta. Si è allungata la fascia d'età di chi gioca: fino a qualche tempo fa erano soltanto bambini e adolescenti, oggi i ragazzini preferiscono i giochi elettronici, poi però attorno ai diciotto anni ricominciano a divertirsi in gruppo e lo fanno fino ai cinquanta, sessant'anni. Per questo i giochi da tavolo si sono evoluti: sono diventati più sofisticati, più strategici, proprio per catturare anche il pubblico adulto. E per soddisfare l'esigenza della gente di socializzare, basta vedere il successo di facebook».
Cosa rende affascinanti ancora oggi i giochi di società?
«Sembra strano, ma è il dover rispettare le regole, proprio come nella vita. Ma con una fondamentale differenza. Nell'esistenza comune le leggi sono imposte, nel gioco, invece, vengono accettate come base essenziale della socialità e per questo sono ritenute divertenti da condividere».
Come nella vita vi sono vincitori e vinti.
«Di solito è così. Tranne un'eccezione, Risiko. Qui al termine di una sfida chi vince può dire di essere stato bravo mentre chi perde può sostenere di essere stato sfortunato. Entrambi hanno ragione e forse il segreto del successo di questo gioco è proprio tutto qui».
Qual è l'ultimo gioco che ha firmato?
«Risiko! Junior, la versione per bambini dai sei anni in su. Come nella versione classica vi sono i dadi, le carte e gli immancabili carrarmati che qui si chiamano però carrAnimati: con questi colorati mezzi militari i bambini devono liberare l'Arcipelago dei giocattoli da invisibili malvagi che l'hanno invaso».
E quello che spera un giorno o l'altro di realizzare?
«Da quindici anni sto lavorando ad un gioco geniale, assolutamente innovativo. Il protagonista è Dio, un Dio che ha potere assoluto sul mondo e per questo può far fare di tutto agli uomini del pianeta. È un gioco avvincente, perfetto, che però ha un solo difetto: tutte le volte che preparo un prototipo e provo a giocarci purtroppo non funziona».
Milano non ha mai ispirato uno dei suoi giochi di società?
«Non direttamente.
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