di Carlo Maria Lomartire
Expo, ce la faremo ad evitare la figuraccia del ritiro, dell'abbandono indecoroso ai due terzi del percorso o, ancora peggio, di un'edizione povera, fiacca messa insieme in qualche modo? Ce la faremo, insomma, ad evitare quel flop in cui tanto spera buona parte della sinistra con seguito di no-tav, grillini, centri sociali e no-global? Pessimismo? Non direi, perché ormai è davvero il caso di preoccuparsi. Tant'è che gli stessi soci pubblici, Comune e Regione in particolare, non esitano a dirsi «preoccupati» e anche «stupiti». Come dare loro torto, visto che ogni giorno c'è uno stop, un ritardo o un rinvio? Ultimo caso: il governo doveva indicare il suo nuovo rappresentante nel consiglio d'amministrazione della società Expo, ha avuto due mesi di tempo e lo ha fatto solo ieri. Tutto rimandato quindi alla prossima assemblea dei soci del 7 maggio. Si perde dunque più di un altro mese e di tempo se ne è già perso davvero troppo, com'è noto. A questo si aggiungano ritardi e reticenze negli stanziamenti e nelle erogazioni dei fondi necessari ma anche la cancellazione dei poteri di commissario straordinario per il sindaco Giuliano Pisapia, finiti - forse non a caso - in uno dei soliti pasticci burocratico-ministeriali romani. Come se non bastasse, la Rai fa sapere che di trasferire la sua sede milanese sull'area del sito espositivo, operazione che avrebbe comportato interessanti vantaggi finanziari per l'Expo, non se ne parla neppure. E c'è da capirla, la Rai, visto come vanno i suoi conti: ma è ovvio che questa defezione può essere anche interpretata come segnale di scarsa fiducia sul futuro dell'evento.
A questo punto chiedersi che ne sarà dell'Expo non è una manifestazione di disfattismo e neppure di gratuito pessimismo ma solo di prudente realismo, di saggezza, insomma. È noto che, nonostante i ritardi, le liti, le risse, le contestazioni, i referendum ostili e le reticenze inconfessate, noi siamo sempre stati dalla parte dell'Expo. Abbiamo sempre pensato che fosse un'occasione straordinaria per Milano, la Lombardia e il paese tutto. Ma abbiamo anche sempre avuto la sensazione, fin dai tempi di Tremonti ministro dell'Economia, che a crederci poco o punto fosse Roma, fosse il governo, come se Expo fosse solo un costoso e superfluo regalo alla nostra città. Ora, dopo gli ultimi temporeggiamenti governativi, questa nostra sensazione è tanto rafforzata da autorizzare una certa sfiducia, non solo nostra, nel futuro dell'evento.
Comunque l'atteggiamento del governo è francamente incomprensibile. Dopo averci lapidato con le tasse, ora fa un gran parlare ai quattro venti di necessità della crescita, di rilancio degli investimenti e delle opere pubbliche. Come se non si potesse cominciare da casa nostra, come se non potessimo subito rimboccarci le maniche anche da soli, i nostri tecnici vanno a parlarne a Bruxelles e Monti cerca di convincere quella crapona della Merkel, cerca di strapparle un indulgente "ma sì
". E invece basterebbe portare avanti il lavoro già cominciato, proprio come l'Expo, che non è un regalo a Milano ma un'occasione per l'Italia. Anche per non buttare via il denaro già speso e tenendo presente, per di più, che se fossimo costretti a rinunciare, oggi il ritiro ci costerebbe 16 milioni di penale e 50 milioni dal mese prossimo.
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