da Trento
Pochi minuti prima erano seduti alla stessa tavola. Poi lo stupro. Per una donna di 24 anni della provincia di Trento la magia della notte di Natale si è trasformata in un incubo: ad approfittare di lei un clochard nordafricano, clandestino, a cui aveva aperto la porta di casa per il cenone della vigilia. Un gesto solidale che lo straniero, ora in carcere per violenza sessuale, ha frainteso.
Per due giorni la vittima ha nascosto il dolore e la vergogna; poi è scoppiata in lacrime fra le braccia del marito raccontando la violenza. Dellaggressore conosceva solo il soprannome, ma grazie a una vecchia foto segnaletica gli investigatori della squadra mobile di Trento, coordinati dal vicequestore Roberto Giacomelli, sono arrivati a dare un nome allo stupratore ed a fermarlo. Lo hanno trovato giovedì sera che vagava in un parco pubblico lungo il fiume Adige, in città. Lui ha negato tutto: ha detto di non conoscere la donna, di non essere mai stato a casa sua la sera di Natale. Ma per luomo, un marocchino di 43 anni senza fissa dimora, si sono aperte le porte del carcere.
Lo straniero era stato invitato dalla coppia a trascorrere la vigilia di Natale a casa loro, in montagna, sullaltopiano di Lavarone e Folgaria. Si erano trovati per il tradizionale cenone, tutti attorno alla stessa tavola, compresi i due bimbi della coppia. La vittima, che gestisce con il marito un bar a Trento, aveva conosciuto lo straniero qualche mese fa e, sapendo che era solo in Italia, senza un lavoro e senza un tetto, lo aveva invitato a cena. Il marocchino aveva accettato e, a fine serata, la coppia si è offerta di accompagnarlo in auto in città. Il marito è rimasto a casa con i bambini e la donna si è messa al volante. Aveva seguito le indicazioni dello straniero sulla strada, fino a giungere in una zona appartata di Trento. «Lì ho lasciato la mia bicicletta», aveva detto lui. I due si sono fermati a parlare, luomo le ha offerto una lattina di birra. Pochi minuti dopo è avvenuta la violenza. La vittima non sarebbe riuscita ad opporre resistenza, forse alterata dallalcol o da qualche sostanza sciolta nella bevanda. Poi le minacce. «Stai zitta, perché se parli so dove trovare te e tuo marito», le aveva intimato luomo.
Arrivata a casa, la donna non ha avuto il coraggio di raccontare la violenza al compagno. È stata zitta per due giorni, poi non ha saputo più trattenere il dolore. Il marito lha accompagnata al pronto soccorso dellospedale, dove i medici hanno confermato la violenza, quindi in questura per denunciare laccaduto.
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