«Io, attore vero come mio padre Ugo»

«Io, attore vero come mio padre Ugo»

RomaLo chiamano Gian Marcovich, perché all’attore Usa John Malkovich, con quell’aria nevro-erotica da uomo che non deve chiedere mai, nonostante la pelata, somiglia parecchio il figlio di Ugo, Gianmarco Tognazzi, sfaccettato interprete classe 1967. «Non ci sono vacanze nel mio mestiere», dice dalla provincia di Arezzo, mentre la figlioletta Andrea Viola (2 anni) gli chiede una gomma da masticare. Gianmarco si trova in tournée con la propria compagnia teatrale, che mette in scena Die Panne, ovvero la notte più bella della mia vita, di Friedrich Dürrenmatt, «spettacolo simbolico del momento di difficoltà in cui versiamo», commenta schiarendo la voce, provata dal freddo. «Io faccio Traps, l’uomo medio partito dal nulla, arrivista degli anni Cinquanta, che tiene alla bella macchina e ai bei vestiti. Sono vent'anni che mi do al teatro con metodicità e sto raccogliendo bene: il pubblico mi è affezionato e apprezza questo testo, in cui si parla del voler apparire diversi da quel che si è. Tema attuale nella società d'oggi, che a tante brave persone sconosciute, preferisce pessime persone riconoscibili». Intanto che tutti si lamentano, perché il lavoro manca, al fratello di Ricky, Thomas e Maria Sole, nel mondo dello spettacolo come lui, scorre l'acqua per l'orto. L'anno nuovo, infatti, gli si prospetta fitto di ruoli interessanti, al cinema e in tv. E c'è anche una casa mediatica per papà Ugo: ugotognazzi.com.
Caro Gianmarco Tognazzi, è vero che nella serie tv «Il bene e il male», dal 12 gennaio su Raiuno, sarà un poliziotto, pronto a sfidare i divieti?
«Il mio commissario Anastasi non è un commissario istituzionale. E ciò lo rende meno ammiccante, rispetto a quanto ci si aspetta da lui. D'altronde, la serie, d'impronta psicologica, rappresenta una sfida. Si tratta di un personaggio introverso, che ha capito come bene e male siano correnti d'uno stesso fiume. Un poliziotto tormentato il cui matrimonio va in pezzi, mentre le indagini premono».
E il suo, di matrimonio, come procede?
«A gonfie vele. Due anni fa, stufo d'essere preso e mollato, mi sono sposato con Valeria, una ragazza indipendente, che a Sassari si occupava di verde urbano. Ora fa la mamma a tempo pieno, ma poi tornerà al lavoro. Non potevo sposare una del mio ambiente: quando torno a casa, amo stare tranquillo».
È per i suoi amori tormentati, che Fausto Brizzi l'ha voluta nel cast di «Ex», commedia corale in funzione anti-San Valentino?
«Certamente! Il film uscirà il 6 febbraio e mi son divertito molto a impersonare Corrado, promesso sposo un po’ tirchio, che dovrà vedersela con un ex della sua fidanzata, Claudia Gerini. Questo ex, Flavio Insinna, è il prete che li deve sposare: ci sarà da ridere».
Traps è un arrampicatore sociale, Anastasi un poliziotto ambiguo, Corrado ha il braccetto corto: questi personaggi non le somigliano molto…
«Per fortuna non devo rappresentare me stesso! Sono incostante e ho bisogno di cambiare continuamente personaggio. In tv e al cinema sono sempre gli altri a sceglierti i ruoli. Solo il teatro dà agli attori la possibilità d'una scelta autonoma. Quanto a personaggi orrendi, mi aspetta Uriah Heep, il viscido e infido amministratore, descritto da Charles Dickens nel romanzo David Copperfield».
È un «David Copperfield» formato tv?
«Due puntate di un’ora e mezza per Raiuno, compresse rispetto al romanzo. Sarò al fianco di Maya Sansa e di Giorgio Pasotti, qui nel ruolo di Copperfield. Tramerò alle sue spalle, come tipica anima nera. È dai primi anni Settanta che la tv non ripropone il romanzo di Dickens: all'epoca, ce ne fu uno con la regia di Anton Giulio Majano e Giancarlo Giannini come protagonista».
Vuol diventare il cocco di Raiuno?
«Ma io sono abbonato alla serialità! Avevo diciotto anni quando ho interpretato Versilia '66, nel 1985, sceneggiato Rai che allineava Margherita Buy, Luca Lionello e Pierluigi Misasi. Attori di un certo tono. Misasi, poi, vent'anni dopo me lo ritrovo al fianco nella serie Il bene e il male. Non è un caso».
Che rapporto ha con la figura di suo padre?
«Credo d'essere il figlio, che più gli somiglia. Mio padre è stato soprattutto un attore e io ho scelto di fare l’attore. Non il regista, come i miei fratelli. Potevo portare in teatro Amici miei e altre cose sue, sarebbe stato paraculo e mi avrebbe fruttato denaro. In questo senso, la figura paterna è stata un limite: non ho mai portato La califfa, o Il vizietto, a teatro. Altri lo hanno fatto, escludendomi. Ma mi rifarò di certi “scherzetti”».
Ha messo suo padre su Facebook. Come mai?
«Dei suoi figli, sono quello più legato a Internet.

E siccome, dopo la messa in onda dei suoi film, ricevo centinaia di e-mail, ho deciso di costruirgli, col mio webmaster, una casa mediatica. Facebook è solo il primo passo. A gennaio lancerò il sito ugotognazzi.com: 370 pagine dedicate alla figura di mio padre. Per metterlo in contatto con la gente, come se fosse vivo».

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