«Io che intervistai Bin Laden vi dico: prepara un attentato come quello dell’11 settembre»

Il palestinese Abdel Bari Atwan: «È ancora vivo, ne sono sicuro, si trova in Pakistan o nello Yemen»

da Roma
Il nemico numero uno dell'Occidente è ancora vivo. Abdel Bari Atwan lo incontrò e lo intervistò nel novembre 1996 nelle grotte di Tora Bora, in Afghanistan. Uno scoop unico che allora nessuno capì. Dodici anni dopo, il giornalista palestinese spiega al giornale che la parabola di Osama non è ancora arrivata alla fine: «Nei Paesi arabi se uno muore, immediatamente la notizia viene comunicata ai familiari. E questo per due ragioni: per permettere alle mogli di risposarsi e per dividere l'eredità. È una legge ferrea che non ammette deroghe: Osama è da qualche parte, temo che i suoi discepoli stiano preparando qualcosa di grosso. Un attentato che potrebbe riecheggiare quelli di Madrid, di Londra, o perfino il crollo delle Torri Gemelle».
Abdel Bari Atwan non è visionario. È un professionista palestinese nato 57 anni fa in un campo profughi di Gaza e con base operativa a Londra. «Nel 1989 fondai Al Quds che è rapidamente diventato la più quotata testata araba. E proprio la mia attività deve aver calamitato il giovane Bin Laden».
Correvano gli anni Novanta. «Cominciarono ad arrivarmi degli articoli firmati da Osama. Lui all'epoca viveva in Sudan, ma aveva un emissario, direi un ambasciatore a Londra e così sulla mia scrivania piovevano i fax in cui Bin Laden spiegava in pillole la sua visione del mondo». Atwan sorride, si accarezza i baffi, poi riprende: «Bin Laden era una sorta di Gandhi, ma un Gandhi violento che voleva portare il vento delle riforme in Arabia Saudita. Per questo gli faceva enormemente comodo un giornale indipendente come il mio, lontano dalla famiglia reale di Riad. Riconduceva tutto all'islam, predicava la sharia. Che l’aveva con gli Usa che avevano utilizzato i mujaheddin come lui in Afghanistan per sbarazzarsi dei russi e poi li avevano abbandonati al loro destino. Nel 1996 mi arrivò l'offerta dell'intervista. Seppi in seguito che aveva contattato anche la Cbs, la Bbc, la Cnn, ma tutte le principali tv inglesi e americane non l'avevano preso in considerazione perché lo ritenevano un individuo senza storia, insignificante».
Adesso Atwan ride quasi divertito. «A Jalalalabad mi fecero salire su un pick up, s'inerpicò sulle montagne in direzione Tora Bora. Mi trovai infine davanti a una caverna, l'ingresso, in legno, ben mimetizzato. Bin Laden vestiva una sorta di poncho dalle fogge afghane, era molto alto, all'altezza del personaggio che si stava costruendo. Affascinante, carismatico Mi disse subito di non registrare perché temeva gli errori, sia quelli grammaticali che teologici».
L'intervista, che si svolge nella sede della Link University di Roma, si interrompe un attimo: un giornale arabo chiede ad Atwan un breve commento sulla visita di Bush in Israele. L'autore del libro La storia segreta di Al Qaida - presto tradotto in italiano da Eurilink, la casa editrice dell'ateneo - sgrana gli occhi scuri: «Ricordo che dentro quella caverna c'erano tredici o quattordici persone, tutte armate. A un certo punto si sentirono rumori assordanti e tutti si precipitarono fuori impugnando fucili o pistole. Anche Osama prese il kalashnikov che aveva strappato ad un generale russo e corse fuori. Invece dopo un quarto d'ora erano tutti indietro: Osama si scusò e mi spiegò che quella era un'esercitazione, poi entrò nel vivo della conversazione: la sua ossessione era cacciare gli americani dall'Arabia. Mi spiegò tranquillamente che si preparava alla Guerra santa contro gli Usa e aggiunse che c'era lui dietro l'attentato in Somalia che era costato la vita a 19 soldati americani».
Sembra incredibile ma quella intervista andò avanti per tre giorni: «Dormimmo nella stessa stanza, nel retro della grotta. Mangiammo piatti poverissimi, uova e patate o poco altro. Faceva freddo, avevo paura, ma intanto lui si preparava a una nuova fuga. "Chissà", mi disse prima di congedarmi, "potrei andare nello Yemen, dove ci sono montagne che ricordano quelle di qua"».
Dal '98, quando il suo emissario fu arrestato a Londra, Atwan ha smarrito il gomitolo che lo portava da qualche parte nel mondo fino a Bin Laden. «Ma sono sicuro: è ancora vivo. Solo che non ha più un esercito, una gerarchia sotto di lui. Al Qaida ormai è un marchio, ci sono tante cellule, idealmente legate in un network planetario. Al Qaida farà ancora parlare di sé».

E lui, il profeta invisibile del terrore mondiale? «Non è più un comandante militare, è una sorta di guru, di grande vecchio, di leader spirituale. E vive in una grande città del Pakistan, O forse nello Yemen come un uomo qualunque, anonimo, ma capace di tenere in scacco il mondo».

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