«Io corro e mamma lava i pavimenti»

Il ragazzo terribile ha bruciato le tappe: a 17 anni primo test sulla Williams, a 20 la F1. «Mi aiuta la presenza discreta di mio padre»

«Io corro e mamma lava i pavimenti»

Benny Casadei Lucchi

nostro inviato a Sepang

Sono cose che fai solo se sei fresco d'esordio e un ragazzo educato, fin troppo educato. Nico Rosberg è nei guai per un evidente eccesso di gentilezza. Pur di non dire no, pur di assecondare le sacrosante curiosità nate su di lui, biondo prodigio nascosto dietro un cognome celebre, adesso si ritrova su uno scooter, quasi al buio, mentre dal cielo viene giù un acquazzone tropicale. Se lo sta prendendo tutto. E dire che voleva solo fare un giro di pista per apprenderne i segreti, come di routine per tutti i piloti, ma al contrario di tutti i piloti, Nico non ha mandato più o meno simpaticamente a quel paese il giornalista.
Si è invece seduto, ha sorriso, ha risposto, ha raccontato di sé e di Milano, sua città adottiva, e come premio ora è sotto il diluvio universale. Nico ha 20 anni, una maturità liceale alle spalle conseguita a Nizza e la fama di vero talento. Figlio di Keke, che fu mondiale '82 proprio con la Williams-Cosworth, oggi passata a lui, Nico ha bruciato tutte le tappe nelle formule minori: a 17 anni il primo test con la Williams e, con la conquista del campionato Gp2 2005, il biglietto d'ingresso in F1.
Domenica scorsa in Bahrein, il debutto record: 2 punti e giro veloce, roba rara. Poco prima che il diluvio lo divorasse, aveva confidato: «Se non avessi rotto un alettone al primo giro avrei lottato per il podio e che botto sarebbe stato: fra i primi tre all'esordio. Incredibile; meglio così però, sennò mi sarei montato la testa».
Quanto le dà fastidio che la chiamino figlio d'arte?
«Molto. Lotto e lotterò perché un giorno non si dica più Nico il figlio di Keke Rosberg, ma Nico quello che va forte».
Lei è di padre finlandese, madre e nazionalità tedesca, ma parla benissimo l'italiano.
«Sì, e mi fa piacere se in futuro i tifosi mi considereranno anche un po' italiano. Ho tanti amici da voi, anzi, gli italiani sono proprio le persone con cui riesco a legare meglio. Dopo questa trasferta, sono già d'accordo che organizzeremo una festa in Italia».
Dove?
«A Milano, ovviamente. Perché i miei amici sono quasi tutti milanesi. Sono gli ex compagni del liceo».
Lei sembra un oggetto estraneo in questo ambiente: ha una famiglia unita alle spalle, una rarità nel mondo zingaro della F1. In Bahrein pareva uno studente all'esame universitario: mamma Sinna e papà Keke con lei.
«Sì, ma questa non è l'università, diciamo che a trecento all'ora la vita è più movimentata. Però è vero che i valori della famiglia mi hanno sicuramente dato più sicurezza. Sono abituato alla presenza discreta di mio padre a tutti i Gp».
Di papà Keke si sa tutto, e mamma Sinna?
«Mamma soffre durante le corse. Ma per il mio debutto ha voluto venire in Bahrein. Però è scappata via prima della gara».
Ad ascoltare la radio in hotel?
«No, a pulire il pavimento».
Scusi?
«Sì, lo fa spesso quando è tesa. Mi ha detto che in albergo ha strappato di mano la scopa ad una cameriera e si è messa a pulire e ripulire la stanza. L'aiuta a non pensare che sto correndo e rischiando».
Quanto le dispiace che non venga mai?
«Tanto, mi fa effetto pensare che non abbia mai visto una mia gara, però la capisco: prima con papà, ora io. Non c'è nulla da fare: lei ha paura, però sogno che un giorno apra gli occhi e mi veda in pista».
E quanto le piace questa F1?
«Moltissimo, anche se me l'aspettavo più difficile. Ma forse sono io che alla vigilia penso che tutto sia molto più complicato del previsto».
Perché voi esordienti non dite mai: «Io ammiro Schumi». Cercate invece sempre esempi nel passato?
«Per proteggerci. In fondo Schumi e gli altri grandi di oggi sono nostri rivali.

E, comunque, dalla camera-car ho rivisto in tv il giro pole di Schumacher in qualifica: fantastico. Là dove io ero tutto preso a controllare l'auto con due mani, lui, in pieno curvone, ne staccava una per fare delle regolazioni. Ho ancora molto da imparare, ma ho anche diciassette anni in meno».

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