A guardarlo così mentre cammina in mezzo alla folla, in Galleria Vittorio Emanuele, con gli occhiali scuri e la sciarpa rossa attorno al collo, sembra già un attore consumato. «Sto facendo le prove generali» scherza Angelo Starinieri. Settantanni compiuti, un passato da clochard e un futuro - in primavera - da attore protagonista in un documentario che gireranno sulla sua vita. «Non me lo spiego mica come sono diventato così famoso», dice.
Tutta colpa del libro che ha scritto «Lenzuola di cartone», dove ha raccontato la sua storia: prima una carriera come responsabile delle relazioni esterne in una multinazionale svizzera e poi uno «scivolone» che lha portato sulla strada, in piazza Cadorna. Alla fine il riscatto grazie alla sua passione per la cultura e il ritorno alla vita normale. Anzi, ad una vita da star. «Rimetterò i miei panni da barbone, tornerò sulla panchina, la numero 3», continua Angelo. Se li ricorda bene quegli anni, iniziati dopo una tragedia familiare quando credeva che la vita fosse finita ed in parte è stato così. Quando non aveva più la testa per fare nulla e aveva mollato tutto, casa e lavoro. «Ogni mattina passavo da Cadorna per andare in ufficio, vedevo i ragazzi che stavano per strada. E un giorno mi sono fermato lì con loro. Come i treni che dopo la mezzanotte non partono più».
Sorride e ripensa al freddo di quelle notti dinverno a meno nove quando cerano solo i cartoni per coprirsi, quando si andava a dormire alle due del mattino e ci si svegliava allalba. «Una vitaccia, oltre al dolore personale di ciascuno, cera la prostrazione fisica. Ma la sofferenza aiuta a maturare. Capisci di più e impari a rispettare luomo. Vedi le cose da un piano diverso». Da mezzo metro daltezza, quello della panchina dove dormi ogni giorno e da dove osservi la vita che ti passa davanti agli occhi. «A stare lì sopra, si diventa pigri - racconta ancora Angelo -. Per questo i barboni hanno bisogno di affetto e comprensione. Sono persone che vanno aiutate e non devono essere lasciate sole. La dignità non la perdi mai, nemmeno quando vivi per strada». E allora capita persino di sentire la mancanza di quei momenti, quando bastava niente per ridere e una boccata di sigaretta in dieci ti rendeva felice. «Mi manca la loro verità, la loro amicizia pura e senza interessi. Fra di noi cera rispetto, i rapporti erano puliti, nitidi. Senza compromessi». Dovrebbero provare a passare qualche giorno così quelli che oggi parlano come padri eterni, e chissà forse capirebbero qualcosa di più di come va il mondo reale, dice Angelo.
Si accarezza la barba, quanto gli piacerebbe che i suoi ragazzi avessero una parte nel documentario. Vedere in video Gualtiero detto «Brontolo», «Venerdì» o «il Nonno». «Il messaggio che voglio comunicare è che non si deve aver paura di scendere in questo tunnel - continua -. L'importante è avere il coraggio di riprendere una vita normale. E io sono la testimonianza che ce la si può fare e ci si può riscattare». Le riprese dovrebbe iniziare i primi di marzo: prima tappa a Milano, poi Como e Pescara, i luoghi che hanno segnato la sua storia. E chissà, forse anche una trasferta in Costa Rica dove ha portato avanti una campagna politica.
«Siamo a buon punto con la sceneggiatura - spiega il regista Fabio Bettonica -. Il lavoro di prevendita ai canali televisivi è già iniziato». Visto il momento, la storia di Angelo potrebbe persino diventare una «parabola» emblematica sulla vita di ciascuno di noi. Discesa e risalita. «La preoccupazione di ritrovarsi da un giorno allaltro senza un lavoro e un tetto dove dormire incarna uninquietudine reale - continua il regista -. È un rischio concreto che tutti possono correre. Se riusciamo a farlo così, il documentario potrebbe interessare anche lestero». Per girare il primo ciak, bisogna aspettare di avere il cinquanta per cento del budget, ma la ricerca degli sponsor è partita.
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