"Io, figlia di Rauti, voto il marito ritrovato"

Isabella, secondogenita dell’ex leader del Msi, è in prima fila al fianco di Gianni Alemanno, candidato Pdl: "Crede in quel che fa, governerebbe Roma con saggezza". Quali sono le tue priorità per Roma? Dì la tua

Roma - È stata intervistata poco. Sulla vita privata mai. Non ama apparire, tantomeno sui giornali. Detesta le first ladies all’americana, «le mogli di che assumono atteggiamenti decorativi». Eppure, martedì sera, Isabella Rauti ha voluto essere in studio a Ballarò, per sostenere nel duello più difficile - con Francesco Rutelli - suo marito, Gianni Alemanno. Isabella è figlia di una delle figure più importanti della destra del dopoguerra, l’ex segretario del Msi e della Fiamma Pino Rauti: ha una storia di militanza, e ne va orgogliosa. E una storia d’amore tanto complessa quanto appassionata, che racconta per la prima volta a Il Giornale. I due hanno un figlio di 13 anni, Manfredi. Abitano in una bella casa della Balduina alta. Tengono i nomi sul citofono. L’intervista inizia da un apparente dettaglio.

Non tenete all’anonimato?

«Per nulla. Dopo un’infanzia in cui il mio portone era meta di sit-in e manifestazioni, mi piace vivere alla luce del sole, senza filtri da vip...».

Quando lei era bambina, suo padre, per l’ultrasinistra, era «l’uomo nero».

«Tre aneddoti. Una volta una corteo si fermò sotto casa nostra per protesta. Un’altra, mamma scese a litigare con 4 ragazzi che imbrattavano il muro con Rauti boia».

Come andò a finire?

«Con mamma aggredita. Ma denunciata - lei! - per aggressione!».

Sotto casa sua?

«Sì. Poi, ovviamente, vennero condannati i 4 ragazzi che l’avevano aggredita. Ma non poteva darsi pace perché li conosceva: “Andate a scuola con le mie figlie e ci fate questo?”».

Secondo aneddoto?

«Mio padre una volta fu picchiato - lavorava ancora a Il Tempo - tornando dal giornale a notte fonda. Infine, a dieci anni feci in tempo ad assistere al suo arresto!».

Piazza Fontana...

«Sì, l’indimenticabile 1972. Tornavo da scuola orgogliosa di un 10 in matematica. Trovai degli agenti in borghese che mi spiegarono: “Sai, il tuo papà deve accompagnarci a fare un passeggiata”...».

Ci credesti?

«Per nulla. Non potevo sapere di quell’inchiesta, ma quel giorno capii che si può pagare con la libertà per le proprie idee... Ci tengo a dire che per quel processo papà fu assolto con formula piena».

«Pane e politica» per lei?

«A colazione, pranzo, cena. Anche mia madre era militante, i miei non si erano conosciuti a un ballo: lei era rappresentante di istituto».

Non era una donna di destra dedicata come un angelo al focolare domestico? (Ride)

«Ah, ah. ah...».

Prego?

«Lei, che scelse di stare a casa per crescere le figlie considerava la maternità come militanza. Faccio questo perchè tu possa fare politica».

Un caratterino?

(Sorride e sospira). «Ehhh... A tavola discuteva di politica. A volte metteva anche in discussione le scelte di mio padre sulla guida della corrente».

Addirittura!

«Tempi terribili. Dopo il rogo di Primavalle avevamo la soglia di marmo rialzata sotto la porta. La sera si rimboccavano le coperte anti-incendio ai piedi della soglia. Mia sorella scoprì - era in moto! - che le avevano tagliato i freni».

E lei, «missina precoce»?

«A nove anni pulivo la sezione. A 12 imparai con orgoglio ad arrotolare i manifesti».

Anche con Alemanno una storia d’amore in sezione?

«Lui leader carismatico del Fronte della Gioventù. Io ero nella sua giunta, responsabile culturale. Avevo 16 anni».

La pupa che sta col capo?

«Macchéeee! Ci siamo fidanzati solo otto anni dopo».

E la freccia di cupido?

«Un giorno mi dissero: “Sai che lo guardi con tenerezza?”. Passai la notte a domandarmi perché».

Romanzo ottocentesco...

«Gianni era fidanzatissimo, da 15 anni. Erano altri tempi: niente trasgressioni...».

Ma lui lascia lei, e voi diventate coppia di ferro nel Msi.

«Ci siamo fidanzati nell’88; sposati nel ’92: abbiamo vissuto insieme, come una normale coppia, fino a Fiuggi».

E lì esplodete con il Msi...

«Rompiamo anche per la politica. Anzi, quello fu il detonatore, insieme al fatto che ero incinta, momento delicato nella vita di una donna».

Non nascondeste la separazione.

«Noooh... Non la ostentammo, ma non celammo nulla. Il “matrimonio di facciata” non era possibile per noi. Lui non è fatto così. E nemmeno io».

Il fatto di essere su due fronti opposti a Fiuggi pesò?

«La politica per noi non era il tifo. Passammo mesi a parlare, notti intere svegli. Poi ci lasciammo: Manfredi aveva un anno. Per me fu un triplice colpo: da moglie, madre e militante».

Pensava che vi sareste rimessi insieme?

«La verità? Assolutamente no. Ho scoperto, anni dopo, che c’era un filo di ferro che non si è spezzato, fra noi».

Come è stato possibile?

«Non abbiamo mai rotto i rapporti. Aveva le chiavi di casa. A uno che fa politica non puoi dire: “Viene alle 5 di mercoledì a vedere tuo figlio”».

E poi?

«Abbiamo avuto entrambi altre storie. Un percorso complicato. Alla fine per fortuna ci siamo ritrovati».

Lei è rientrata in An...

«Un anno dopo. Anche lì è stato un percorso. Ha contato il fatto che tenevano i rapporti umani. Mi invitarono alla sezione Balduina, ci andai. La comunità esisteva, mi sentii meno distante».

In questa campagna Rutelli chiede un voto anti fascisti. La Repubblica scrive della celtica di suo marito.

«Assurdo. Sulla celtica Gianni non deve spiegare nulla. Io, se lei mi chiede se porto il crocifisso, non le rispondo».

Quanto ai «fascisti»...

«La vita, le storie, i grandi partiti come il Pdl sono complessi. È folle chi prova ad appiattire tutto con un clichè vecchio di mezzo secolo, chi ricorrre alla demonizzazione».

Forse porta voti?

«Non penso: la gente non li capisce. E non gli crede».

Lei ha fatto persino un comunicato sulla sicurezza...

«Mi ha indignato la trovata demagogica del braccialetto antistrupro. Un perfetto lapsus culturale. Invece di pensare a punire i colpevoli, il rutellismo discrimina le vittime!».

Nel confronto Rutelli ha detto che potrebbe anche non essere un bracciale...

«Sì, ha portato un telecomando. Sembrava un piazzista della Beghelli...».

Inutile chiederle chi ha vinto il duello, secondo lei.

«Gianni ha comunicato la sua passione, il progetto».

E Rutelli no?

«Da ragazzo ha partecipato a qualche nostro convegno come invitato. Appariva meno conformista».

E ora?

«È supponente, inautentico. Parla dei suoi progetti per Roma come se non avesse già governato 7 anni. Ha abbandonato la città, a metà mandato, per inseguire la sua ambizione di leader nazionale».

E la Palombelli?

«È una giornalista stimata: non mi trascinerà in una rissa fra mogli».

Cosa vorrebbe far conoscere agli altri di Alemanno?

«Gianni è uno che crede in quel che fa. Uno serio. Amministrerebbe questa città saggiamente».

Fra i finanaziamenti dei costruttori e un’area di verde pubblico cosa sceglierebbe?

«Non ho dubbi. Difenderebbe il verde pubblico».

Lei mancò l’elezione a Strasburgo per lo 0.2%!

«Appunto. Quando è così non hai rimpianti, è il destino che sceglie per te».

E la sua carriera politica? (Sorride)

«Non l’ho mai inziata. Almeno per ora».

Però fa politica per lui.

«Non per. Ma con. Ho finito una iniziativa con Gianni e Fini organizzata anche da me».

E adesso dove va?

«Cena elettorale. Dovrò dire che l’hanno sequestrato in Rai... Non ho tempo per rileggere l’intervista, non mi faccia apparire fatua. Non lo sono».

E quando avrà due ore di tempo che farà?

«Un’ora per un romanzo storico. E una per arrampicare. Rispetto a Gianni sono una principiante. Ma me la cavo, mi creda».

E se Alemanno vincesse?

«Questa città mette le ali».

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