Politica

«Io, finita sotto inchiesta senza una imputazione»

Parla l’onorevole Napoli (An), la vicepresidente dell’Antimafia coinvolta nell’affaire di Catanzaro

Nostro inviato a Catanzaro

«Quello che mi hanno fatto è semplicemente vergognoso...». Angela Napoli, deputato di An, coraggioso vicepresidente della Commissione antimafia, accetta di raccontare la disavventura personale con i magistrati di Catanzaro nell’inchiesta su mafia e politica, oggetto d’ispezione ministeriale.
Onorevole, ma lei come ci finisce in questa storia?
«È una storia allucinante. La mattina in cui scoppia il caso Reggio sono a Montecitorio. Mi dicono che le agenzie fanno il mio nome per un avviso di garanzia. Tempo cinque minuti e ricevo la prima di una serie infinita di telefonate: è Gianfranco Fini, mi invita a non demordere. Così cerco di informarmi e scopro che sono coinvolta in un procedimento dove campeggia l’associazione mafiosa. Apriti cielo! Dalla stampa apprendo che sono accusata di violenza a corpo giudiziario: colleghi dei Ds persino di Rifondazione, a cominciare da Vendola, fanno la fila per darmi la loro solidarietà. Temo un colpo basso, so di avere la coscienza a posto così sfido la procura».
Che fa?
«Mando un mio legale dal procuratore Lombardi con una richiesta per conoscere il mio stato. Ma passano i giorni e di notizie non ne ho. Insisto altre due volte, anche perché i giornali continuano a raccontare cose incredibili e io non riesco a difendermi. Niente. Così al 30° giorno perdo la pazienza, convoco una conferenza stampa, chiamo le tv e, improvvisamente, ecco che dalla procura mi comunicano che in segreteria, da 20 giorni c’è una busta chiusa per me! Finalmente, dico. Così ora ne saprò di più».
E che cosa c’era nella busta?
«Che ero indagata, ma per un reato che non mi potevano dire».
Dopodiché?
«Mi sono arrabbiata, ho scritto a Casini, che ha passato tutto alla giunta per le autorizzazioni a procedere. Ho sollecitato io un’istruttoria nei miei confronti».
Da cui è emerso...
«Il paradosso. All’unanimità, letti gli atti di Catanzaro, si sono schierati tutti dalla mia parte tanto che il presidente Siniscalchi, dei Ds, ha detto che in tanti anni di attività (d’avvocato, ndr) non aveva mai visto niente di simile».
Scusi, che cosa ha risposto Catanzaro?
«Le dico ciò che è scritto nella delibera della giunta, dove si si ammette che sì, sono indagata, ma che Catanzaro non mi contesta as-so-lu-ta-men-te nulla, che non ha elevato alcun capo di imputazione nei miei confronti. Possibile?, dico. Possibile. Poi scopro che nell’ordinanza di custodia cautelare del giornalista Gangemi sono inserite alcune telefonate con la sottoscritta, telefonate innocue perché gli argomenti trattati sono noti, parlo del giudice Mollace, oggetto di una mia interrogazione parlamentare di cui l’interlocutore mi chiede notizie. Niente di che. Per legge non avrebbero potuto inserirle nell’ordinanza, a meno che non fossero risultate “utili” ai fini processuali e, comunque, se non dopo l’autorizzazione delle Camere.

Ma poi gli stessi Pm ammettono che quelle intercettazioni non sono utili, tanto che non indagano su di me, e allora mi chiedo: perché le hanno inserite? Perché hanno permesso ai giornalisti di massacrarmi? Perché non hanno inserito ben altre intercettazioni, quelle ad esempio nello studio di tal Romeo accusato di essere il regista della delegittimazione dei Pm di Reggio, dove si parlava male di me? Perché? Chi mi risponde?».\

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