Io, giurato in smoking applaudito dai divi

Il critico del «Giornale» racconta l’emozione di chi è stato chiamato a votare per la seconda rassegna del Festival: «Mi sento come un ambasciatore che alzi per la prima volta la bandiera»

da Cannes

Ho visto cose che voi non-giurati nemmeno potete immaginare.
Giovedì 18 maggio. Apertura della rassegna Un certain regard. Smoking noleggiato ad hoc, sono sulla scalinata con passatoia rossa per la montée des marches. È la consacrazione, che avviene fra due fila di fotografi e poi di agenti impettiti delle Compagnies républicaines de securité: «Crs-Ss!», mi torna in mente dal ’68 dei miei sedici anni. Procedo accanto al regista americano Monte Hellman: nel 1966 ne vedevo La sparatoria e Le colline blu, con Jack Nicholson, allora ignoto. Accanto alla scrittrice e regista iraniana Marjane Satrapi, a Lars-Olav Beier di Der Spiegel, a Jean-Pierre Lavoignat di Studio, a Laura Winters, che rappresenta in un colpo solo Washington Post, Boston Globe e Financial Times. Tutte testate per definizione prestigiose: che per contiguità lo sia anch’io?
Me lo sto ancora domandando quando Gilles Jacob, presidente del Festival, e Thierry Frémaux, direttore artistico, ci accolgono in cima alla scalinata. Veri diplomatici, oltre che veri conoscitori di cinema, ci ringraziano come se il Festival - senza di noi - non avesse potuto avere questa cinquantanovesima edizione. Quasi convinti che sia così, entriamo in sala, dopo la perquisizione obbligatoria. Controllo l’assetto del farfallino, che mi ricorda d’avere un collo, e la fascia di seta, che mi alza la vita, come m’ha spiegato il noleggiatore dello smoking.
Ci sediamo. Frémaux presenta il film d’apertura, Paris, je t’aime, e la giuria, poi ci chiama tutti sul palco. Brivido: quando scandisce «Maurizio Cabona, il Jornale, Italie», mi sento un ambasciatore che alzi per la prima volta la bandiera. Per anni e anni, quando aspettavo l’inizio dei film con Maurizio Schiaretti della Gazzetta di Parma, quel palco era in un’altra dimensione; ora ci sono sopra e tanti mi guardano, ma lui non c’è più.
Riflettori negli occhi, scruto i volti. Ci sono gli attori di Paris je t’aime, solo che non ho ancora letto chi sono. Comincio a riconoscerli, mentre loro applaudono la giuria, dunque anche me. Vedo Nick Nolte e ho un brivido: è stato a Cannes nel 1978, mio primo Festival, che al vecchio palazzo del cinema, oggi Noga-Hilton, l’ho visto nei Guerrieri dell’inferno di Karel Reisz. Basterebbe questo per darmi la sensazione di essere in una versione personalizzata della Rosa purpurea del Cairo di Woody Allen: Nolte è sceso dallo schermo e ora, con le sue manone, applaude me, che ci sono salito. Occhi appannati, cerco di capire chi altro ci sia davanti a me. Ed è un sogno nel sogno, perché in platea riconosco - in ordine alfabetico - Fanny Ardant, Olivier Assayas, Juliette Binoche, Jean-Claude Brialy, Alfonso Cuaròn, Maggie Gyllenhall, Hyppolite Girardot, Olga Kurylenko, Natalie Portman, Miranda Richardson, Gena Rowlands, Ludivine Sagnier, Barbet Schroeder, Gus Van Sant, Elijah Wood... Tre generazioni di storia del cinema, fra I quattrocento colpi e il Signore degli Anelli!
Sabato 27 maggio. Chiusura del Certain regard. Di nuovo in smoking, di nuovo montée des marches. Jacob e Frémaux mi ringraziano - più o meno - d’esistere. Chiamato ancora sul palco, ho l’ormai solito brivido, sentendo: «Maurizio Cabona, il Jornale». Hellman distribuisce i premi. Sale sul palco Wang Chao, regista di Luxury Car («Auto di lusso»), il film vincitore, storia di un padre che ha avuto la gioventù rovinata dalla rivoluzione culturale e ha la maturità rovinata dalla rivoluzione liberale; sale sul palco per ritirare il premio al miglior attore (Don Angel Tavira) Francisco Vargas, regista del Violino, dove un vecchio violinista gioca d’astuzia con un ufficiale, teso a reprimere una rivolta contadina, e ne viene giocato.

Qualcuno in Italia li vedrà mai? Mi chiedo anche se, senza il Festival, avrei mai cenato al Carlton - in fitto dialogo su Sacha Guitry e François Truffaut, Régis Debray e Marie Antoinette - con «Madame et Monsieur le président de la Banque de France». Grande è il disordine sotto il cielo.

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