«Io, introvabile nella vita e nelle “figu”»

Introvabile!
«Lei non sa quante volte l’ho sentito dire. Quella figurina era proprio introvabile».
Mi scusi, signor Pier Luigi Pizzaballa, ma è lei quello introvabile. Possibile che non abbia un cellulare?
«Ce l’ho, ce l’ho, ma lo tiene mia moglie...».
Dica la verità, lei c’ha costruito una carriera sulla storia dell’album Panini...
«Ma, guardi, a quei tempi neanche facevo la raccolta delle figurine dei calciatori... Pochi soldi, niente televisione e poi non c’erano tutti questi fotografi. La Panini faceva le foto a inizio anno e io ero a militare. Quando hanno stampato l’album si sono accorti che non avevano la mia foto in archivio e così la figurina è uscita in ritardo, poi l’Atalanta era la prima squadra in ordine alfabetico della serie A, il portiere, che ero io, era la figurina numero uno. Aprivi l’album e io non c’ero, così si è sparsa la voce. Io ero raro. Lo sa che mi dava un po’ fastidio questa storia? Sembrava fosse più importante avere la mia figurina che Pizzaballa in porta».
Vabbè, ma Pesenti e Nodari chi se li ricorda, scusi...
«Erano i miei terzini all’Atalanta nella stagione 1964-65».
Appunto. Invece lei ha fatto un carrierone. Ma la Roma la mise sotto contratto perché la sua figurina era introvabile, sia sincero...
«Guardi che ero proprio arrabbiato, tutti parlavano di quella figurina e intanto il Milan si dimenticò di me. Ma poi sono finito anche in Nazionale».
Pagina tristissima, era anche lei sul pullman che tornò dall’Inghilterra dopo la sconfitta con la Corea?
«Sì, si fece male Negri e Fabbri chiamò me con Albertosi e Anzolin, ho fatto anche una presenza, anzi un solo tempo, contro l’Austria, 1-0 rete di Burgnich».
Un altro miracolo, Burgnich ha fatto due reti in tutta la sua vita con la maglia della nazionale, l’altra alla Germania nella semifinale dell’Azteca.
«Dall’Inghilterra tornammo a scaglioni su due pullman con le staffette della polizia che ci scortavano. Ma poi io ho giocato fino a quarant’anni, avrei continuato ma un giorno arriva lì uno della società e mi fa: adesso basta, da domani tu fai il dirigente».
Quello era un brav’uomo, lei era già pieno di acciacchi...
«Per forza, ci si tuffava sulla terra, i campi erano ghiacciati, avevo borsiti su tutte e due i fianchi, poi inventarono i pantaloncini con i rinforzi sui lati ma non attutivano un bel niente. E i guanti? Erano di gomma, non avevano presa e d’inverno ti si ghiacciavano le mani, allora ci fu l’innovazione della lana, ma la palla schizzava via come una tinca, poi quelli di seta, altra stupidata. Io? Giocavo a mani nude, d’inverno me le mettevo sotto le ascelle per scaldarmele. Guardi che dita tutte martoriate... Ma se non mi avessero fermato, io avrei continuato a giocare».
Introvabile e eterno, un mito.
«Bé, grazie anche alle figurine Panini».
Alla fine confessa...
«Adesso la cosa mi fa piacere perché mi sento continuamente rimesso in gioco. Questa storia mi ha dato una notorietà insperata. Lavoro in una scuola calcio a Seriate con circa 200 ragazzini, ma ogni tanto esce nuovamente questa vicenda della figurina introvabile e la gente mi cerca per farsela raccontare.

Se sarò presente a Celomanca? Ma certamente, potrei essere una delle star dell’evento».
La cercavano anche quando siete tornati dall’Inghilterra per tirarvi i pomodori... Lei quanti ne prese?
«Io? Io ero introvabile».

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