«Io, ispiratore del genio di Mario Soldati vi svelo i suoi segreti»

«Io, ispiratore del genio  di Mario Soldati vi svelo i suoi segreti»

Parlare di Mario Soldati, scomparso nel giugno di 10 anni fa, anche per me che l’ho conosciuto, non è facile. È stata una persona che ha racchiuso in sé ironia, severità, ombrosità, entusiasmo, eleganza e irrazionale provocazione. Intelligente, amante degli intrighi e del razionale. Mai ha conosciuto la noia. È stato sempre aperto a nuove esperienze. Era un eccentrico sognatore. Il nostro incontro avvenne nel settembre del 1976. Ero comandante della stazione dei Carabinieri di Sesta Godano, inVal di Vara. Era amico dell’Arma. Ci aveva regalato nel 1967 gli indimenticabili «Racconti del maresciallo». Di lui si disse che una delle sue ambizioni fosse diventare il Simenon italiano. Era avido di dettagli sulla vera vita e sul modo di operare di un investigatore.
Si fissava a volte su un particolare e lo sviscerava. Era per lui determinante che ogni parola e ogni azione fosse credibile.
Diventammo amici, ci vedevamo spesso. Lunghe conversazioni che duravano interi pomeriggi. Io gli raccontavo del mio lavoro, mi seguiva con grande attenzione, prendeva appunti. Inizialmente stentavo a capire tanto interesse per i miei casi. Vecchi ricordi, memorie, storie, avventure. Era difficile stabilire dove l’autobiografia sconfinasse nell’invenzione e la vita vissuta si trasformasse in vita osservata.
Era solito dire «tutto nella vita è ricordo», ma aggiungeva che la sua vita era stata piena di scoperte che poi ad una ad una ha bruciato nei suoi romanzi. Già, i suoi romanzi! Da Salmace scritto nel 1929 ai suoi esordi come scrittore. Nel 1935 il primo successo con «America primo amore». A seguire «La verità sul caso Motta» (1937), «A cena col commendatore» (1950), «Lettere da Capri» (1953), «Vino al vino», «La sposa americana» e tanti, tanti altri, che sarebbe lungo elencare. Fino alle opere più recenti come «La sera» e «I nuovi racconti del maresciallo», e poi, altri romanzi, racconti, poesie. Nelle nostre conversazioni ammiravo il suo modo di narrare, estroso, incalzante, capace di convertire il dato più realistico in un evento straordinario. Non era facile analizzare i sentimenti che ci univano. Forse per farlo devo ricorrere alle sue espressioni, tanto che in un passo de «Il vero Silvestri» parla di due amici che conversano nella quiete notturna di una città straniera, contemplano il mondo, la storia, l’eternità. Sfiorano il mistero dell’esistenza come se fosse in procinto di cadere un velo. Si sentono ancora vivi, ma nello stesso tempo già quasi morti, e tuttavia felici di quest’unica certezza possibile, di quest’unico credo dimostrabile: la fiducia reciproca l’uno nell’altro senza domande e senza offerte, senza riconoscenza o senza possesso, senza servitù e senza rinuncia, senza gelosia e paura. Cosa è dunque l’amicizia se non la forma più alta dell’amore?
Mi colpiva sempre di più il modo con cui egli riusciva a mettere a suo agio chi gli stava vicino. Il suo esprimersi era semplice, il suo conversare lineare. Faceva tante domande, ma soprattutto lasciava spazio alle risposte senza interrompere, l’impaccio svaniva di fronte alla sua semplicità. Si dice che quando scompare un grande amico come è stato per me Mario Soldati, bisogna ricordarlo da vivo, nella sua naturalezza, nel suo lavoro, nelle sue delusioni, nel suo cinismo, nel suo moralismo, nel suo divagare, nella religione, nella resurrezione, nella vita. Era solito dire che doveva essere fatta di paura ogni pietra, ogni angolo, ogni oggetto che abbiamo qui intorno. Ci ricorda la paura che la gente ha in sé. Paura degli uomini e della natura, sino al momento in cui questa fosse passata così che la reazione contraria doveva essere violentissima per godere la vita stessa, con una felicità infinitamente più intensa di quella che proviamo ogni giorno. Vita e letteratura in lui finivano per identificarsi. Era un uomo amante delle cose semplici, amava lo scopone, il vino buono, il sigaro, il gioco delle bocce. Ma nell’intimo era un grande intellettuale, di gusti letterari ed artistici raffinatissimi. Era di rara eleganza, nelle nostre conversazioni citava i suoi poeti preferiti senza forzature con assoluta spontaneità. È stato un laico continuamente sedotto dal dubbio, ma anche dal fascino della religiosità. Tante volte emergevano contrasti di opinione, ma non ha mai voluto imporre le sue idee. Era amante della libertà e rispettava quella degli altri.
Nacquero così «I nuovi racconti del maresciallo» e in seguito «La valigia del Maresciallo». Presero corpo passando dalla bocca dell’uomo di legge alla mano del maestro. Fu così che assunsi in lui le sembianze di un carabiniere un po’ filosofo, un po’ disincantato, un po’ curatore di anime e confessore, un po’ detective. Una via di mezzo tra Maigret e Freud.
Diceva che un maresciallo in un piccolo centro finisce col diventare parroco e sindaco al tempo stesso. Deve capire la gente e farsi capire. Educare alla legge sì, ma con una buona parola che detta da un uomo in divisa, è temuta e rispettata al tempo stesso. Diceva che conoscendo le persone, avevo messo in pratica quella filosofia di vita, fatta di umanità, altruismo, rispetto per il prossimo, saggezza ed esperienza, un patrimonio di tutta una vita raccolto nella «Valigia del maresciallo», in perfetta sintonia con l’umiltà di esse.
Già, diceva che la mia valigia, anche se oggi era un po’ «out», fuori moda, priva di peso fisico, conteneva gioielli che sono esperienza di vita, da umile servitore della legge, al servizio degli altri. Sacrifici e disponibilità nei confronti di chiunque, senza pregiudizi e schieramenti. Dalla parte della legalità, al fianco dei più deboli, senza paura del potere. Cosciente di avere sempre rappresentato in maniera degna l’Istituzione e lo Stato.
Anche se spesso Soldati era solito ripetere che il dilagare della violenza era dovuto alla crisi dei valori morali e umani, alla sete di denaro, all’edonismo, all’angoscia esistenziale.

Aggiungeva che in tale fosco panorama il dolore diventava sempre più protagonista dei nostri giorni e per non cadere nella trappola della depressione l’uomo deve reagire, convincendosi che dal dolore nasce la speranza.
Caro Mario Soldati, non ti dimenticherò mai.
*maresciallo dei carabinieri
ispiratore dei

«Racconti del maresciallo»

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