In una sera come una di queste, il 24 di febbraio 1607, Giovan Gualberto Magli salì su non sappiamo qual pedana di non sappiamo quale sala del Palazzo Ducale dei Gonzaga a Mantova e, abbigliato da allegoria della musica, con la sua voce da castrato intonò: «Io la Musica son...». Era lattacco del prologo di Orfeo, favola in musica di Claudio Monteverdi, uno dei primi esperimenti di rappresentazione tutta cantata. Nella famosa, mitica vicenda, gli interpreti per la prima volta vivevano i loro sentimenti, le passioni, gli incantamenti, con la pienezza dell'animo; un coro interloquiva, commentava, un complesso di strumenti accompagnava. Nessuno in quel momento lo sapeva, ma nasceva nella sua forma decisiva il teatro dopera. Nessuno in quel momento lo poteva immaginare, ma quattrocento anni dopo lopera viveva ancora, tra passioni e feste, in tutto il mondo: Nemmeno il suo autore mai lavrebbe previsto, ma quattrocento anni dopo quel mitico Orfeo è ancora in repertorio fra le opere più amate.
Che gran destino. A Mantova, per lanniversario, che festa bella, calda, nella felicità daver aperto tanto grande cammino. Nasceva nella corte, il teatro dopera, ma ben presto, nello stesso Seicento, cominciò a dilagare, si costruirono teatri apposta. A Venezia almeno sedici. In palcoscenico, tutti i personaggi straordinari, eroi e dei, fauni e ninfe, furono messi alla prova di come sarebbe stata la loro vita nella musica. Recitavano cantando, aiutati da ritmi di danza ed andamenti di canzone. Il pubblico si raccoglieva in cerchie sovrapposte di palchetti, proprietà di nobili, o poco a poco in gallerie sovrastanti o, noleggiando sedie o in piedi, nella platea: era nato il teatro allitaliana. Dietro la scena, nuove macchine, usate ancora oggi, creavano prodigi spettacolari per dare meraviglia ai cieli, ai giardini, alle bocche dinferno e agli luoghi fantastici che creavano Burnacini e compagni, favolosi scenografi.
A un tratto, i musicisti sentirono di poter far volare la parola: e nacque laria. In momenti strategici, la frase diventava melodia e la melodia forma: e il tema seducente o librato si rivelava e nascondeva in vertiginosi ricami vocali. Il pubblico, anche quello che nei palchi si comportava liberamente come a casa, allapparire dellaria tratteneva il respiro, ed il cantante in proscenio si esibiva, rischiando almeno ad ogni acuto, come a una prova della verità. Così cresceva il mito del cantante dopera, la sua fama, i suoi compensi. Il grande castrato Farinelli fu adorato da donne e uomini, poeti, musicisti e re.
Da allora, nel teatro dopera, ogni vicenda, nelle sintesi vertiginose di Mozart come nelle passioni amorose e civili culminate con Verdi o nelle leggende germaniche immerse nel mondo strumentale di Wagner, fino a Bizet, a Mascagni, a Puccini, ha sempre vissuto fra consacrazioni di interpreti, accese fino alla più impensabile idolatria, e zuffe fra tifosi di interpreti «rivali».
Si può discutere se non siano pazzie. Ma a suscitare tutto questo sono stati artisti di strapotente carisma. In tempi più recenti la leggenda è stata amplificata non solo dal passaparola, ma dai mezzi di comunicazione più potenti: Caruso fu adorato da due mondi per la forza e la leggerezza della splendida voce e i primi dischi la portavano dovunque. Herbert von Karajan, il grande direttore austriaco, si fece capitano dindustria per portare a fondo il potere che negli anni dal Sessanta allOttanta il disco aveva enorme.
Eppure, nessunaltra forza poteva creare i grandi miti se non cera nel fondo dogni artista la pienezza dun fascino inspiegabile ed una ingenua disponibilità a giocare tutta la loro vita nel canto e nel suono.
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