Politica

«Io padre nobile del centrodestra? Non lascio»

Fabrizio De Feo

dal nostro inviato a Istanbul

Mancano circa due ore all’inizio della finale di Champions league quando Silvio Berlusconi, dopo aver salutato a uno a uno i calciatori del Milan, si avvia verso lo stadio. Il cuore batte già con la squadra che ha accompagnato da «primo tifoso» attraverso un infinito ciclo di vittorie. Ma la testa è rivolta alle sue responsabilità politiche e a un’avventura governativa che non vuole certo concludere con una sconfitta. Così quando i giornalisti lo avvicinano nella hall del suo albergo il premier non si risparmia e cerca ancora una volta di trasmettere voglia di vincere alla Cdl.
Il primo pensiero va al momento più difficile della sua parabola governativa: il dopo Regionali. «Non ho mai pensato neppure per un minuto di dare le dimissioni» racconta il premier. «È impossibile qualsiasi paragone con la situazione in cui si è trovato il cancelliere tedesco Schröder dopo la sconfitta nel nord Reno Westfalia. Lui era obbligato ad andare alle elezioni perché ha perso una delle due Camere. Noi, invece, abbiamo una maggioranza limpida e assolutamente tale da consentirci di governare».
Il secondo pensiero va al suo ruolo: nella squadra del centrodestra Berlusconi si vede sempre e comunque come regista, non certo come allenatore in panchina. «Io padre nobile del centrodestra? No, io resto io e farò comunque la campagna elettorale. Se poi mi presento per il governo e per altro non cambia mica nulla». Quel che è certo è che «il leader non solo deve avere carisma e conoscenza delle cose, ma deve essere riconosciuto da tutte le componenti». A chi gli chiede se questo identikit tagli fuori Casini e Fini dalla prospettiva di una possibile candidatura il premier risponde lapidario: «Non lo so, domandatelo alla Lega», facendo capire che i loro nomi non potrebbero mai essere digeriti dal Carroccio. Poco spazio anche all’ipotesi di lanciare un altro imprenditore per un ruolo importante nel partito unico: «È difficile, fare politica è molto più difficile che gestire un’azienda». Bocca cucita anche su Romano Prodi. «Io sugli altri non dico nulla: noi dobbiamo fare per conto nostro. Fare e magari sbagliare, ma sempre per conto nostro».
Il discorso si sposta a quel punto verso la difficile congiuntura economica e sullo spettro di una procedura europea. Un’ipotesi che il premier non vuole neppure prendere in considerazione. «È il momento di riscuotere il credito notevolissimo che abbiamo acquisito quando Francia e Germania erano in difficoltà. Dall’Europa non potranno arrivare penalizzazioni. Lo escludo». Piuttosto per rianimare la nostra economia bisogna lavorare sulla leva fiscale. «Siniscalco sta lavorando al taglio dell’Irap» spiega il premier. «Questa misura deve essere una risposta a un sistema che deve svegliarsi perché sta all’imprenditore innalzare il prodotto a livello tecnologico per non essere copiato oppure cambiare prodotto». Il resto dovrà venire dalle istituzioni internazionali. «I paesi orientali fanno concorrenza sleale. Per questo è necessario che il Wto faccia rispettare le regole. E per questo la commissione europea sta analizzando l’ipotesi di applicare dazi sui prodotti provenienti dai paesi orientali». L’ultimo passaggio è per la sua creatura politica, anch’essa in cerca di riscossa: «Per quattro anni non mi sono occupato di Forza Italia perché mi sono dato tutto al governo: per questo il partito si è un po' fossilizzato a livello locale.

La decisione di nominare delle coordinatrici trentacinquenni è servita a ringiovanire e dare entusiasmo nuovo al partito».

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