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Io, tra il popolo dei poveri in cerca del pane quotidiano

Il nostro cronista con chi ogni mattina riceve la busta alimentare di un'associazione di volontariato. Tra i destinatari extracomunitari, ma anche tanti pensionati. Il responsabile: "Mai visti tanti disperati come ora"

Io, tra il popolo dei poveri 
in cerca del pane quotidiano

Mancano pochi minuti alle 9 e già ci sono un centinaio di persone in fila. Io sono al centro della coda. Davanti a me un marocchino di 23 anni, alle spalle un pensionato di 75 anni. Tutti insieme aspettiamo che qualcuno ci dia «il nostro pane quotidiano». A offrircelo con il sorriso sulle labbra non sarà il Signore, ma un signore: uno dei tanti volontari che ogni giorno arriva all’alba in viale Monza, a Milano, rimboccandosi le maniche. Gli automobilisti si fermano al semaforo, lanciando un’occhiata distratta al popolo dei poveri. A pochi metri dalla fermata della metropolitana c’è un edificio che sembra uno chalet di montagna. All’ingresso una grande insegna che è anche una grande speranza: Pane Quotidiano.

Dopo circa un’ora di attesa arriva il mio turno: nel giro di pochi secondi la mia busta di plastica si riempie di un chilo di pane, 4 yogurt gusto fragola, un trancio di pesce spada, due pesche, due fichi d’india, una manciata di peperoni, mezzo litro di latte, un pacchetto di caramelle e una camicia nera a maniche lunghe. Tutto gratis. Nessuno mi ha chiesto il nome, che lavoro faccio, da dove vengo. Ad accogliermi c’è solo il sorriso bonario di Iole che mi dice: «Si vede che sei un bravo ragazzo. E si vede che hai tanto bisogno...». Gratificato dal «bravo ragazzo» e un po’ avvilito per quel «hai tanto bisogno», faccio amicizia con i miei colleghi di miseria in attesa del pacco-sopravvivenza. C’è un’umanità varia fatta di extracomunitari e italiani equamente distribuita tra giovani, anziani e vecchi. In pochi hanno un aspetto trasandato. Nessuno si vergogna di arrivare qui con la borsa vuota.

«Quando hai una pensione di 500 euro non esistono alternative - racconta Angelina, 82 anni, vedova, senza figli -, vengo al “Pane Quotidiano” tre volte alla settimana e con quello che mi danno sfamo anche i miei due gatti. Per me anche i prezzi del supermercato sono troppo cari. Ormai sono vecchia. Mi piacerebbe morire nel sonno, senza soffrire». «Mi arrangio con qualche lavoretto, ma in Italia sono clandestino. Qui ti aiutano senza chiederti se hai i documenti in regola», testimonia Youssef, 32 anni. Vicino a lui c’è Mario, 78 anni, pensionato delle Ferrovie delle Stato: «A metà mese ho già speso tutta la pensione. Alla mia età vivo ancora in una casa in affitto. Al “Pane Quotidiano” ho trovato una seconda famiglia, le persone che lavorano qui mi aiutano, ma soprattutto mi parlano. Sono le uniche che mi fanno sentire ancora vivo». Su tutto e tutti vigila Saverio Rebecca, 80 anni, ex guardia giurata, veneto di nascita e milanese di adozione. È lui il leader carismatico della pattuglia di volontari che ogni giorno dalle 9 alle 11, dal lunedì al sabato, distribuisce circa 800 sacchetti al giorno con «menu» che variano di volta in volta, ma con una costante: il pane non manca mai. Quelle stesse «michette» che in città sono ormai sinonimo di speculazione (si vendono a 3,40 euro al chilo), qui in viale Monza ritornano ad essere un simbolo di autentica solidarietà. «Sarà che la vita a Milano è diventata carissima, ma i nostri “clienti” aumentano a vista d’occhio - testimonia Saverio -. A volte abbiamo a che fare con gente strana, ma noi non ci demoralizziamo mai. Di aiuti politi non ne abbiamo e non ne vogliamo avere».

«Capita che qualcuno ci chiami “bastardi” solo perché non regaliamo capi di abbigliamento griffati, o che arrivi a bordo di auto lussuose - racconta Iole -. Anche i poveri non sono più quelli di una volta...

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