Gli ipocriti delle liste pulite

Silvio Berlusconi ha posto con forza al Pdl il problema delle liste pulite per le elezioni regionali. Non è facile essere al contempo garantisti e severi. In un Paese dove la magistratura ha dato spesso prova di partigianeria politica e di accanimento giudiziario, qual è il confine oltre il quale è giusto che scatti l’autotutela della politica stessa rispetto a mascalzoni e mele marce? È vero che tutti sono innocenti fino a prova contraria, cioè fino al terzo grado di giudizio, ma è anche vero che nei fatti qualcuno lo è un po’ meno degli altri anche prima del verdetto finale. Nel penale, salvo clamorose sviste, il giudizio è chiaro: c’è l’arma del delitto, ci sono testimoni imparziali e rilievi scientifici incontestabili. Nei reati civili e amministrativi tutto è più nebuloso. Le guerre tra poteri inquinano atti e indagini, frasi intercettate possono essere elevate a verità che poi si rivelano false, le stesse leggi si prestano a essere interpretate a seconda della volontà del giudice. Se poi aggiungiamo che spesso viene fatto cadere ad arte il confine tra peccato e reato, ecco che districarsi non è affatto facile.

Alla luce di questo non sappiamo quindi dire che effetti pratici avrà l’appello del premier, uno che ben conosce cosa vuol dire finire nella zona grigia della giustizia. Resta il fatto che il Pdl è l’unico partito ad aver affrontato pubblicamente una questione vera e non più rinviabile. Gli altri, i giustizialisti a parole, quelli che chiedono le dimissioni di Bertolaso perché raggiunto da un avviso di garanzia, continuano a fare i finti tonti. Ben tre candidati governatori dello schieramento «mani pulite» del duo Bersani-Di Pietro sono alle prese con guai giudiziari grossi (De Luca in Campania e Loriero in Calabria sono pluriindagati, Vendola in Puglia è sotto inchiesta). Del resto Pd e Italia dei Valori negli ultimi anni si sono tenuti ben stretti Bassolino e Soru, due presidenti di Regione che hanno ben conosciuto le aule dei palazzi di giustizia. Così come Casini prima di puntare il dito contro la moralità delle liste Pdl bene farebbe a guardare in casa sua. Un uomo di punta dell’Udc, Salvatore Cuffaro, ha una condanna in appello a 7 anni per favoreggiamento, Enzo Carra una definitiva a 1 anno e 4 mesi, solo per fare due esempi. Anche la faccia pulita di Rutelli deve fare i conti con una condanna per una vicenda di stipendi d’oro quando era sindaco di Roma.

Insomma, chi in questi giorni fa la predica a Berlusconi e al Pdl non ha alcun titolo per rivendicare una moralità o una verginità superiore. Semmai colpisce la loro ipocrisia, che in politica è reato assai più grave della concussione perché la prima non può essere perseguita per legge.

Come dicono gli americani, passi il reato, non la bugia. Meglio, molto meglio il sano e apparentemente contraddittorio buon senso di Silvio Berlusconi. Che credo si possa tradurre così: garantisti sì, fessi o complici no.

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