Bagdad - Il 60 per cento dei combattenti stranieri in Iraq arrivano da Arabia Saudita e Libia, paesi considerati alleati degli Stati Uniti nella lotta al terrorismo. Lo scrive oggi il New York Times citando dati scoperti dalle forze armate americane in documenti e computer sequestrati lo scorso settembre durante un raid in un campo di addestramento nel deserto nei pressi di Sinjar, vicino al confine con la Siria. Nel campo, considerato la base della cellula responsabile dell’ingresso clandestino del maggior numero di combattenti stranieri in Iraq, è stata trovata la lista di oltre 700 guerriglieri arrivati dall’agosto del 2006, contenente la città di origine e altre brevi note biografiche per ognuno. Dai documenti è stato anche possibile analizzare il flusso degli ingressi di stranieri pronti a portare a termine attentati kamikaze o a preprare altri attacchi: durante i primi sei mesi di questo anno tra 80 e 110 al mese, con un calo a 60 durante l’estate ed a 40 ad ottobre, soprattutto a causa del raid nel campo di Sinjar. Il 41 per cento, vale a dire 305, combattenti stranieri sono arrivati dall’Arabia Saudita, mentre 137, cioè il 18 per cento, dalla Libia.
Le cifre fornite, le prime che danno dati precisi sul fenomeno dei combattenti stranieri, descrivono comunque un’insurrezione combattuta principalmente da iracheni e da sunniti. Lo dimostra anche il fatto che dei 25mila detenuti nelle prigioni americane nel paese, solo l’1,2 per cento, cioè 209 prigionieri, sono stranieri.
Secondo stime degli ufficiali americani, il gruppo al Qaida in Mesopotamia, che rivendica legami diretti con Osama bin Laden, avrebbe 10mila membri in Iraq. E quattro su cinque detenuti sono sunniti, come provengono da paesi a maggioranza sunnita tutti gli stranieri registrati a Sinjar, tranne due che hanno cittadinanza francese.