Irak, il campionato è una bomba

Non c’è pace per l’Irak. E anche quando lo sport che dovrebbe rappresentare un balsamo per lenire orrori e ferite viene messo all’angolo, significa che l'oblio è davvero a pochi passi. L’Irak è l'unica nazione al mondo dove non ha preso ancora il via il campionato nazionale di calcio, il Dawri Al-Nokhba come ci tengono a puntualizzare da quelle parti per ricordare che dal 2004 è stato introdotto il professionismo. Il fischio d’inizio era previsto per il 20 novembre, posticipato al 9 dicembre dopo che la Fifa aveva deciso di sospendere la federcalcio irachena, che per ragioni di sicurezza ha sede ad Amman in Giordania, a causa di ingerenze governative. L’8 dicembre però a Bagdad si è scatenato l’inferno: una serie di attentati ha provocato oltre 100 morti e 500 feriti. Sono state ben cinque le esplosioni che hanno colpito la zona centrale della capitale. Le deflagrazioni hanno distrutto anche parte del centro sportivo dell’Al Zawraa, una delle squadre più prestigiose. Il presidente della federazione Hussein Saeed Mohamed, ex numero dieci della nazionale ai mondiali messicani del 1986, ha quindi rinviato a mercoledì 30 dicembre l’inizio della nuova stagione.
Saranno 36 le squadre che si contenderanno il titolo, suddivise in tre raggruppamenti: nord (Arbil), centro (Bagdad) e sud (An Najaf). La squadra campione in carica è l'Erbil Sc, formazione curda di Arbil. Il suo trionfo nella passata stagione non è stato affatto casuale. Arbil è l’Irak che sta cambiando volto e che vorrebbe presentarsi all’Occidente con il suo carico di speranze e innovazione. La capitale curda, oltre un milione di abitanti, è la città che prima di altre si è scrollata di dosso le macerie della guerra e le torture di Alì il Chimico. Ad Arbil stanno sorgendo hotel ultramoderni da far invidia a Dubai, destinati a turisti innamorati delle bellezze archeologiche. Nel resto dell’Irak la situazione invece continua ad essere piena di tensione e praticare il calcio è una vera e propria impresa. Ne sa qualcosa l'ex ct della nazionale, il tedesco Bernd Stange, che convocava i giocatori spostandosi ramingo da una città all’altra. Sul tettuccio dell'auto aveva fatto sistemare un altoparlante, e armato di microfono, al grido venghino siori venghino, chiamava a raccolta per le strade di Bagdad, Kirkuk o Bassora, giovani di belle speranze disposti a prendere a calci un pallone. Per un po’ ha funzionato, ma quando un cecchino ha centrato la tempia sinistra del suo autista Stange non ha potuto far altro che arrendersi alla drammatica evidenza e far ritorno in patria.
Trentasei squadre ai nastri di partenza, attentati permettendo, metà delle quali sono destinate alla retrocessione.

Dal 2011 si pensa ad un torneo con solo diciotto formazioni, e l'obiettivo non è tanto legato ai costi, ma a questioni di sicurezza. In ogni esplosione tra i morti si contano anche calciatori. Sta diventando uno stillicidio, un gioco perverso ad eliminazione diretta prima ancora del fischio d’inizio.

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