Irak, si dimette il giudice di Saddam

da Bagdad

Se ne va, senza rimpianti. Il giudice Rizkar Amin, il presidente del tribunale speciale iracheno che sta celebrando il processo a Saddam Hussein, ha deciso di dimettersi. «Ragioni personali» spiega, non certo «in seguito alle pressioni del governo». Il comunicato d’addio aggiunge che l’uscita di scena del giudice Amin non modificherà il calendario delle udienze e che la prossima si terrà, come previsto, il 24 gennaio prossimo. Fonti vicine al tribunale rivelano che Amin ha presentato le dimissioni prima delle festività islamica dell’Aid al-Adha, che cadeva il 10 gennaio, e che «si sta ancora cercando di convincerlo a ritornare sulla sua decisione». Anche se pare che Amin si sia irritato per le critiche che lo accusano di essere troppo morbido con Saddam.
Per i difensori di Saddam Hussein, guidati da Khalil al Dulaimy, «non ci sarà differenza, perché il collegio di difesa non riconosce la legittimità della Corte». E poi: «Si vede che la coscienza del giudice (Amin ndr) si sta risvegliando e si rende conto che il giuramento fatto all’inizio del suo lavoro, non gli consente di mettere sotto processo il suo legittimo presidente, prigioniero delle forze d’occupazione». Dulaimy ha anche peraltro sottolineato l’«alta autorità morale» del presidente. Secondo la tv di Stato il successore del presidente sarà lo sciita Abdulla Al Amiry. Si sa poi che slitterà a giovedi la scadenza annunciata della comunicazione dei risultati elettorali e del rapporto sui brogli e le violazioni delle norme elettorali e che forse verrà diffuso solo all’estero.
«Le critiche che mi vengono dalla strada - avrebbe detto Amin - mi procurano dispiacere e non mi lasciano l’equilibrio necessario per questo lavoro». Secondo alcune fonti avrebbe ricevuto una lettera contenente critiche anche dal leader sciita Moqtada Sadr. Amin, 48 anni, padre di quattro bambini, due dei quali hanno subito un tentativo di rapimento sventato dalla polizia, è stato ripetutamente criticato per il suo garbo, ritenuto eccessivo, nei confronti degli imputati. In particolare di Saddam Hussein e del suo fratellastro, il potente ex capo dei servizi segreti, Barzani al Tikriti, che nelle sette udienze svoltesi finora hanno tentato più volte di smontare, con lunghe filippiche spesso espresse con toni molto energici, le deposizioni dei testimoni dell’accusa a proposito del massacro di 148 sciiti del villaggio di Dujail, attuato in rappresaglia di un attentato fallito contro il raìs. Saddam ha anche accusato i soldati americani di averlo torturato al momento dell’arresto e ha rifiutato di essere presente a una delle udienze.


A chi gli faceva notare che due avvocati difensori del processo sono stati uccisi e un terzo è andato all’estero perché minacciato ripetutamente Amin aveva replicato: «Un giudice che applica la legge non deve avere paura di niente».

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