Iran, arrestate 30 «madri in lutto» di manifestanti uccisi

Teheran Continua la repressione del movimento di opposizione al regime iraniano. Trenta donne dell’organizzazione «Madri in lutto», i cui figli sono stati uccisi o sono scomparsi nella repressione delle proteste in Iran, sono state arrestate dalle forze di sicurezza mentre, come ogni sabato, si radunavano nel Parco Laleh, nel centro di Teheran. Lo riferiscono alcuni siti dell’opposizione, tra i quali Kaleme, che fa capo al leader Mir Hossein Mousavi.
Testimoni hanno detto che circa 70 donne, madri delle vittime e loro sostenitrici, si erano radunate nel parco quando un centinaio di agenti delle forze di sicurezza, in divisa e in borghese, le hanno attaccate. Molte sono riuscite a fuggire, ma 30 sono state arrestate, caricate su cellulari della polizia e portate nella stazione di polizia di Vozara, nel centro di Teheran.
Il sito Jaras rende noti intanto due nuovi arresti di attivisti dell’opposizione, entrambi collaboratori dell’ufficio di Mousavi: l’avvocato Reza Razaghi e l’oculista Yadollah Eslami, che sarebbe stato direttamente prelevato dall’ospedale in cui lavora. Lo stesso sito denuncia l’arresto di alcuni testimoni presenti a un drammatico episodio avvenuto il 27 dicembre scorso, quando due jeep della polizia investirono e passarono sopra alcuni dimostranti. Il video dell’accaduto, messo in Rete nei giorni seguenti, è uno dei più scioccanti fra quelli girati nelle manifestazioni del giorno dell’Ashura.
Intanto una commissione d’inchiesta del Parlamento iraniano ha denunciato i maltrattamenti inflitti agli arrestati nelle manifestazioni dell’opposizione dell’estate scorsa, affermando che tre di loro sono morti in seguito alle violenze e rivolgendo pesanti accuse all’allora procuratore di Teheran, Said Mortazavi.
La commissione, il cui rapporto è stato letto in Parlamento dal suo portavoce, Kazem Jalali, denuncia in particolare le violenze avvenute nel centro di detenzione di Kahrizak, a sud di Teheran. Ma nega che alcuni arrestati siano stati sottoposti a violenze sessuali, come invece aveva denunciato uno dei leader dell’opposizione, Mehdi Karrubi.
La prigione di Kahrizak fu chiusa alla fine di luglio per ordine della Guida suprema, l’ayatollah Ali Khamenei. «Non dobbiamo dimenticare che questa situazione è stata risolta con l’intervento della Guida», ha sottolineato una deputata della commissione, Zohreh Elahian, facendo intendere che le responsabilità non potranno essere addossate alle massime autorità della Repubblica islamica. Nel loro rapporto, tuttavia, i deputati affermano che «esistono ancora centri di detenzione che necessitano di immediate ispezioni».
In agosto Mortazavi è stato rimosso dall’incarico di procuratore di Teheran, ma è stato nominato viceprocuratore generale dello Stato e il governo del presidente Mahmud Ahmadinejad gli ha affidato la responsabilità dei servizi per la lotta al contrabbando.
Nella relazione, Mortazavi viene accusato di avere dato personalmente l’ordine, «ingiustificato», di trasferire molti degli oppositori arrestati a Kahrizak, che doveva essere un luogo di detenzione solo per trafficanti di droga e criminali pericolosi.

Qui, sempre secondo i risultati dell’inchiesta, 147 oppositori, arrestati in una manifestazione il 9 luglio, sono stati rinchiusi con 30 criminali comuni per quattro giorni in uno stanzone di 70 metri quadri, in un caldo soffocante, senza acqua e con cibo insufficiente.

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