Così il primo d’ottobre è arrivato, dopo l’allarme urgente di Pittsburgh lanciato da Obama, Sarkozy e Brown circa la volontà iraniana di perseguire la bomba atomica: e con esso la concessione da parte degli iraniani di visitare la struttura atomica di Qom che era stata celata a tutto il mondo fino a pochi giorni fa. Da parte iraniana è un’offa all’Occidente per poter dire che i colloqui si sono aperti con profitto, e tutti si sono affrettati a farlo. Ma anche la concessione stessa è a doppio taglio, perché se da una parte consente all’Aiea di entrare per la prima volta in questa centrale che è fra le più sotterranee e difese, dall’altra la legittima e la qualifica come pegno di amicizia, cosa del tutto proditoria, agli occhi del mondo. Altra concessione è la possibilità di arricchire l’uranio all’estero, in Francia e Russia. Ma Obama ha già detto che anche se l’inizio può considerarsi «costruttivo», ci si aspettano però fatti concreti: la pazienza americana «non è illimitata» ed entro due settimane gli ispettori Onu dovranno avere accesso illimitato al sito di Qom.
Ma intanto i Cinque + Uno si sono seduti intorno a un tavolo in una villa del ’700 a Ginevra e gli Usa hanno anche incontrato per la prima volta da decenni un rappresentante iraniano testa a testa. La cronaca degli incontri (filtrati dal buco della serratura) racconta soprattutto l’insistenza del negoziatore iraniano Said Jalili sui «diritti inalienabili» del suo Paese, cioè la determinazione a non mettere in discussione il programma nucleare, e nel descrivere quello che l’Iran ha stabilito fossero i temi dell’incontro: «Incentivi, aiuti economici e politici, questioni economiche politiche e di sicurezza». Le agenzie di stampa iraniane di regime hanno battuto la soddisfazione degli inviati del loro Paese, e le agenzie occidentali le convinzioni di Solana (alla guida dei Cinque più Uno: Francia, Inghilterra, Cina, Russia, Stati Uniti e Germania), che i colloqui si siano svolti «in un’atmosfera cordiale e professionale». Solana ha anche annunciato che entro tre settimane l’Iran dovrebbe consentire all’Aiea di visitare il sito di Qom, quello che era rimasto nascosto fino ad ora. Mosse di urbana diplomazia, volte a propiziare, a calmare l’opinione pubblica internazionale preoccupata dal fanatismo del regime di Teheran e soprattutto Obama, che aveva dato segni di evidente nervosismo nei giorni scorsi. Ma verso la metà della giornata di ieri si è svolto anche un colloquio diretto fra Iran e Usa; il capo della delegazione Usa era nientemeno che William Burns, il sottosegretario di Stato per gli Affari politici. Un gran segno di cortesia da parte degli Usa, che non incontravano gli iraniani direttamente da trent’anni. Ma anche un azzardo, rispetto al quale, nonostante il tono ultimativo di Obama a Pittsburgh, il portavoce del dipartimento di Stato Crowley aveva già messo le mani avanti, spiegando che gli Usa «non avrebbero dato immediatamente un giudizio giovedì». E aveva aggiunto: «Vedremo come va l’incontro e valuteremo la volontà dell’Iran di impegnarsi sui temi posti», ipotizzando che il governo abbia bisogno di qualche mese per valutare tutti in risultati dei colloqui. Ma “mesi” è proprio quella palude temporale di cui ha bisogno Ahmadinejad per completare la bomba: ormai può contare almeno su 8000 centrifughe, più tutte quelle nascoste di cui non abbiamo idea. Tutti gli esperti concordano sui tempi brevi prima dell’ora X. Ahmadinejad con le sue proposte, va alla ricerca di tempo, e non di un accordo: aveva il giorno prima dichiarato che il suo Paese è disposto a parlare di tutto purchè lo si faccia nell’ambito del “disarmo globale”, e aveva anche proposto che un Paese terzo arricchisca per l’Iran l’uranio di cui Teheran ha bisogno. Ottime idee se non si sapesse che solo impostare il tema del disarmo globale prenderebbe molto più tempo di quello necessario per l’Iran a concludere l’arricchimento dell’uranio che cerca; e peccato che il livello dell’arricchimento non potrebbe mai essere garantito da un Paese terzo se persistono centrali nascoste come quella di Qom, scoperta da poco, che possono ulteriormente arricchire l’uranio già arricchito, tecnica che può ingannare anche più severe indagini dell’Aiea.
Il ministro degli Esteri britannico David Miliband ha avvertito l’Iran di «non confondere il rispetto per la debolezza», ma i lavori hanno già preso il ritmo dell’andantino ma non troppo, quello che piace a Teheran. Dagli Usa all’Europa, per non parlare dei vecchi amici, Russia e Cina, tutti quanti sembrano di nuovo impaniati nelle chiacchiere iraniane.
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