Iran, colpo di mano conservatore esclusi tutti i candidati riformisti

La decisione del Consiglio dei Guardiani irrita persino la guida Khamenei, che chiede la riammissione di due esponenti di spicco

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Gian Micalessin

da Beirut

Questa volta gli esponenti del Consiglio dei Guardiani si sono dimostrati più realisti del re. Chiamati a valutare l’ammissibilità dei candidati alle presidenziali del prossimo 17 giugno gli esponenti dell’organo costituzionale iraniano hanno fatta piazza pulita di chiunque minacciasse l’egemonia conservatrice. Con un solo colpo di penna hanno messo fuori gioco i due principali esponenti del campo riformista, tutte le 89 candidate femminili e un migliaio di sconosciuti iscrittisi per il gusto di comparire. Dopo questo «massacro» preventivo sono rimasti in lizza soltanto sei candidati tra cui spiccano per moderazione l’ex presidente Akbar Hashemi Rafsanjani e l’ex presidente del Parlamento Mehdi Karoubi.
Di fronte a tanto zelo istituzionale neppure la Suprema Guida Alì Khamenei ha potuto far a meno d’inorridire. Neppure lui, il fedele difensore dell’ordine costituito ereditato dal Grande Ayatollah Khamenei, ha potuto ignorare l’iniquità della sentenza e ha invitato il Consiglio dei Guardiani a rivedere la propria decisione. «A tutti gli elettori deve venir concessa la possibilità di scegliere tra varie tendenze politiche», ha sancito Khamenei con una durissima presa di posizione indirizzata ad Ahmad Janati, l’ayatollah a capo dell’organo costituzionale responsabile del grande repulisti. E per non esser frainteso il supremo leader ha messo nero su bianco i nomi dei due candidati riformisti che vuole riammessi al voto. «Mi sembra che la partecipazione del signor Moin e del signor Mehralizadeh – ha detto Khamenei - debba essere riconsiderata».
Non sono due signori nessuno. Mostafa Moin, l’ex ministro dell’Educazione che nel ’99 tuonò contro la repressione delle dimostrazioni studentesche, è l’uomo di punta del campo riformista, l’unico in grado di raccogliere il consenso di quella maggioranza di elettori con meno di trent’anni che consegnò due mandati di seguito a Mohammed Khatami. Mohsen Mehralizadeh è invece un “vice” del presidente uscente dimessosi per protesta contro l’egemonia politica della destra conservatrice.
Il richiamo della suprema autorità della Repubblica Islamica non è dettato solo da benevolenza. Il colpo di spugna dei “guardiani” rischiava di generare almeno due effetti controproducenti. Il primo era l’innesco di un naturale processo di boicottaggio capace di tenere lontani dalle urne più del 60 per cento degli elettori come già successo nelle elezioni amministrative del 2003. Il secondo era l’invitabile dispersione dei voti tra i quattro rappresentanti della destra.

In questo modo venivano condannati alla sconfitta sia l’ex capo della polizia Mohammad Baqer Qalibaf, sia il grande controllore della televisione di Stato Ali Larijani considerati i “preferiti” di Khamenei. E l’inevitabile ritorno sulla scena politica dell’ex presidente Rafsanjani, un uomo troppo potente, troppo smaliziato e troppo imprevedibile per i gusti del grande conservatore Alì Khamenei.

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