Iran, ennesimo rinvio E l’Occidente si stanca

Chi ancora aveva voglia di credere che la politica della mano tesa verso l’Iran avrebbe dato qualche risultato e che la proposta di El Baradei, così vantaggiosa per l’Iran, sarebbe stata accettata, ieri, in Europa, ha sofferto particolarmente sulle ore del pranzo. Invece Obama si è svegliato con la notizia che al Alam, il satellite in lingua araba dell’Iran, ha annunciato che gli Ayatollah daranno la risposta sulla proposta occidentale fra 48 ore; nel frattempo fa sapere che mentre intende accettare il principio del trasferimento all’estero dell’uranio da arricchire, intende richiedere “cambiamenti”, senza specificare quali. Lo schema di accordo chiede all’Iran di trasferire entro l’anno alla Russia l’80 per cento della quantità di uranio che si pensa l’Iran possieda, una tonnellata e mezzo, e dopo l’arricchimento di passarlo alla Francia per l’ulteriore lavorazione che poi dovrebbe portare alla restituzione a Teheran dell’uranio trasformato in carburante per un reattore che produce radio isotopi. Una favola bella che sembra ormai praticabile solo a El Baradei. Comunque, adesso Alaeddin Borujerdi, capo della commissione parlamentare per la sicurezza e la politica estera, dice che l’accordo non prevede di trasferire all’estero tutta insieme la quantità proposta, ma di spedirla in piccole quantità e di sostituirla una volta arricchita al 20 per cento. La spiegazione è logica. L’80 per cento tutto insieme, proprio per la sua consistenza, può causare un rallentamento delle operazioni che portano alla bomba atomica. E, poi, sembra dire l’Iran, meglio non fidarsi e tenersi a casa il tesoro.
Le manovre diversive di Teheran mettono in imbarazzo tutta la diplomazia che ha riposto eccessiva fiducia nell’accordo, e soprattutto sembrano davvero avere stufato: il più esplicito, sulle orme del presidente Nicolas Sarkozy, è il suo ministro degli Esteri Bernard Kouchner che dice a Teheran che «sta sprecando tempo» perché «un altro giorno potrebbe essere troppo tardi», e riprendendo la polemica con gli Usa maligna che «gli Stati Uniti grazie a Obama hanno insistito sulla necessità del dialogo ma questo non può durare in eterno». Persino il più insistente fra i mediatori, l’alto commissario Javier Solana, ha detto stizzito che «l’accordo è buono e che non c’è bisogno di nessun cambiamento»; il ministro Franco Frattini spera che ci sia ancora spazio per il negoziato, e aspetta le richieste.
Ma due fattori impediscono un ragionevole ottimismo, oltre alla storia ormai andata a male del gioco al gatto e al topo fra l’atomica iraniana e la speranza occidentale: il primo è che non ci potrebbe essere accordo migliore di quello che l’Iran ha già strappato. Secondo il Washington Post, Usa Russia e Francia si sono semplicemente offerte, arricchendo l’uranio iraniano al 19,75 per cento, di risolvere le sue deficienze tecniche. Altre fonti tecniche assicurano che il carburante metallico che l’Iran riceverà può essere convertito subito in uranio esafluoride, utilizzabile ai noti scopi.
La seconda ragione per disperare di un accordo è l’evidente strategia iraniana di espansione, dominio, egemonia. L’Iran vuole dominare, e la bomba è una tappa indispensabile per questo. Ahmadinejad, nel ricevere il presidente turco Erdogan, ha di fatto esibito un tono di leadership estrema e padronale quando gli ha detto di fronte ai giornalisti che «il regime sionista è una minaccia per tutte le nazioni e desidera eliminare i Paesi forti nell’area...

ha usato la forza a Gaza e ora attacca la Santa Gerusalemme... e la chiara posizione della Turchia (contro Israele, ndr) aiuterà molto». Un abbraccio strategico in cui Ahmadinejad ha dichiarato morto l’Occidente e esaltato la nuova alleanza che salverà il mondo.

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