Cultura e Spettacoli

IRAN «Penne sataniche» al rogo

Da Sadeq Hedayat, un «classico» del Novecento, ai messaggi criptati di Azar Nafisi: il Paese che avanza pretese da potenza atomica mette all’indice i libri scomodi. E non risparmia i film troppo liberi

Avendo forse appreso da Bin Laden l’efficacia delle minacce videotelevisive, non passa giorno che il presidente dell’Iran non ci informi sull’«evoluzione» dei suoi progetti atomici. Allarmi reali? Avvertimenti a quell’Occidente che vuole globalizzare il mondo? L’interrogativo rimane, la realtà per adesso è solo catodica, ma nel frattempo l’universo virtuale iraniano rimane uno dei più controllati nel mondo. Insieme a quello della Cina, dove, i siti Internet «devono servire il popolo e il socialismo e guidare correttamente l’opinione pubblica nell’interesse nazionale», il governo teocratico iraniano considera i bloggers «violenti criminali» e i siti luoghi da imbavagliare. Basti pensare che uno studente di Teheran, Mojtaba Samineajad, solo per aver inviato un commento on line contro il governo è stato accusato di «immoralità» e condannato a tre anni di prigione. E all’ombra della minaccia atomica non va meglio per giornalisti e intellettuali: il controllo governativo sull’informazione ha costretto persino il sito ufficiale della Bbc a censurare i propri contenuti.
Al controllo governativo si aggiungono gruppi di estremisti come «L’Armata fiera di Maometto» che recentemente ha inviato un comunicato all’Associazione Iraniana Scrittori accusandoli di essere «penne di Satana» e minacciando di trucidarli per «purificare l’Iran islamico con il sangue». Nel mirino dell’«Armata» non solo scrittori, ma anche registi e artisti «colpevoli» di non rispettare, nelle loro opere, le leggi del Corano e di «essere corruttori di coscienze».
Nel contempo la polizia iraniana ha iniziato una nuova ondata di persecuzioni «purificatrici». Grande preoccupazione per la situazione di Siamak Pourzand, 68 anni, attualmente sotto processo con ben nove capi d’imputazione che comprendono anche «l’azione contro la sicurezza dello stato» e «lo spionaggio». Arrestato nel novembre del 2001, dell’anziano e celebre giornalista e critico cinematografico, ex marito di Kim Novak, non si hanno notizie da anni, se si eccettua un breve video trasmesso pochi giorni fa da una televisione iraniana dove Pourzand è apparso in pessime condizioni di salute e con segni evidenti di torture e sevizie. Barbarie che, in Iran, sono all’ordine del giorno: proprio la settimana scorsa scrittori, intellettuali e registi raccoltisi in una casa privata sono stati arrestati, processati e condannati a pesantissime multe e a 70 frustate.
La situazione non è delle più rosee nemmeno per il regista Kamal Tabrizi: il suo film La lucertola, uno dei più visti nella storia del cinema iraniano, è stato confiscato dalle sale e i cartelloni pubblicitari sono stati rimossi. Ad un altro cineasta, Bahmam Farmanara, pluripremiato all’estero, è stato addirittura impedito di iniziare le riprese del suo Un piccolo bacio. È bastata la sceneggiatura, la storia di uno scrittore esiliato che torna in Iran per rendere omaggio alla tomba del figlio suicida, per far scattare la censura. L’accusa? Il soggetto non è adatto all’«estetica degli ideali del pensiero islamico».
Nel frattempo scrittrici come Marjane Satrapi, dai loro rifugi dorati all’estero ci raccontano come sia cambiato, in meglio, l’Iran: l’autrice della saga di Persepolis, la graphic novel dove tradizione islamica e libertà occidentale si fondono in volumi da milioni di copie, rilascia interviste e firma autografi come una rockstar.
Dov’è la verità? Forse in Azar Nafisi? Da anni residente negli Stati Uniti, ha raccontato, in Leggere Lolita a Teheran (Adelphi, 2004) come nei due decenni successivi alla rivoluzione di Khomeini, mentre le strade e i campus della capitale erano teatro di violenze inaudite, ha dovuto cimentarsi nell’impresa di spiegare a ragazzi e ragazze, esposti in misura crescente alla catechesi islamica, una delle più temibili incarnazioni del Satana occidentale: la letteratura. È stata così costretta ad aggirare qualsiasi idea «pericolosa» e a inventarsi un intero sistema di accostamenti e immagini che suonassero efficaci per gli studenti e, al tempo stesso, innocui per i loro sorveglianti. Il risultato è un libro che, oltre a essere un atto d’amore per la letteratura, è anche una beffa giocata a chiunque tenti di proibirla.
Ma la censura resta difficile da aggirare, di questi tempi. Uno degli esempi più clamorosi è l’intervento sui libri di Sadeq Hedayat, considerato il capostipite della letteratura iraniana moderna. Pur essendo morto nel 1951, esule e suicida a Parigi, i suoi libri sono stati da poco ritirati dalle librerie iraniane. L’autore di racconti come Sepolto vivo (Chersi editore, 2004), un atto d’accusa contro «l’Iran dei religiosi inturbantati», si è visto censurare pesantemente anche le traduzioni de Il muro di Sartre e La metamorfosi di Kafka. Per non parlare del romanzo La civetta cieca e la raccolta di racconti Tre gocce di sangue: qui la critica al regime iraniano è ancora più forte e, quindi, è impossibile trovare questi libri sugli scaffali di quella che un tempo fu la Persia ed ora è ridotta a un Paese «radioattivo». Sia il romanzo sia i racconti sono stati appena pubblicati da Feltrinelli dopo decenni di oblio nella collana de «Le comete». Attraverso le pagine di Hedayat si potrà (ri)scoprire un autore sottovalutato, ma dal talento immenso: André Breton lo considerava tra i classici del surrealismo. Ed è proprio l’esule scrittore iraniano a restare, forse unico, testimone di un Iran dove nulla sembra essere cambiato.
È sorprendente che questo scrittore ancor oggi venga messo all’indice nel proprio Paese. Già nel 1926 i mullah gli impedirono di scrivere e lo costrinsero, di fatto, a autoesiliarsi in Europa. Capace di scrivere un diario visionario come La civetta cieca, Hedayat è altrettanto un maestro nelle prose brevi. Racconti che testimoniano il suo credo e la sua vita: «Una vita provvisoria»: «Né qui, né di altrove; cacciato di là, ma mai arrivato da quest’altra parte». Così amava descriversi. Così amava vivere. Così amava scrivere. Lame taglienti sul tappeto volante della vita. Sogni e fantasmi, fantasia e vitalità, ma sempre dipinti in un quadro di angosciante desiderio di libertà. Sempre ai confini. Sempre contro ogni tipo di regime (politico e letterario), sempre disposto a perdersi per poi ritrovarsi tra le pagine. Il sogno di chi, attraverso macchie d’inchiostro, voleva eliminarne altre. Meno visibili, ma più letali.

Ferite che rimangono ancora oggi aperte nel cuore frust(r)ato di un Iran dove la guerra alla libertà non sembra finire mai.

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