Iran, rischia la morte perché è cristiano

Il padre fu impiccato nel 1990 per apostasia. Ora, a causa di una nuova legge, il figlio rischia la stessa sorte. E da Londra la sorella lancia un appello disperato

Iran, rischia la morte 
perché è cristiano

Il padre di Rashin è stato ucciso diciotto anni fa. La sua colpa: essersi convertito al cristianesimo, in Iran. Oggi il fratello di Rashin rischia la stessa sorte: è in prigione a Mashad, città santa del paese degli Ayatollah, in attesa di sapere che ne sarà di lui. Ma è una corsa contro il tempo: un mese fa il parlamento iraniano ha votato il disegno di legge di un Codice penale islamico che prevede, fra l’altro, la pensa di morte per ogni iraniano che abbandoni la fede musulmana. Alle donne toccherà l’ergastolo. Il padre di Rashin, Hossein Soodmand, è stato l’ultima persona condannata a morte per apostasia in Iran, ora suo fratello Ramtin rischia di essere il primo impiccato sotto la nuova legge.

Una vita da “impuri”. Rashin Soodmand affronta il destino da Londra, dove si è rifugiata e dove si è sposata con un connazionale cristiano che ha ottenuto asilo politico in Germania. Ha lasciato il suo paese perché, dopo la condanna a morte del padre, la vita per la sua famiglia è diventata in un inferno. Per Rashin, la madre e i fratelli era sempre più difficile sopravvivere. Cristiani, cioè “impuri” perché non musulmani, a proposito dei quali Khomeini metteva in guardia gli iraniani con suggerimenti del tipo: non toccate i loro oggetti, non mangiate con loro. La sua famiglia è stata aiutata per anni da una chiesa cristiana del luogo. Poi Rashin, che oggi ha 29 anni, è riuscita a fuggire. Ma teme per la sorte del fratello: “Sono in ansia per lui – ha raccontato al Telegraph - Anche se tecnicamente non è un apostata, perché non è mai stato musulmano – mio padre ci ha cresciuti tutti cristiani – non credo che sia al sicuro. Il presupposto è sempre che, se sei iraniano, devi essere musulmano”.

La legge. Nel 1990, quando fu ucciso Hossein Soodmand, nessuna legge prevedeva l’esecuzione per apostasia. Hossein si era convertito al cristianesimo quando aveva 13 anni. Trent’anni dopo ha pagato quel “crimine”, impiccato dalle autorità iraniane dopo un mese di prigionia e la richiesta di rinunciare alla sua religione (“Ma mio padre, ovviamente, rifiutò di rinunciare al cristianesimo” ricorda Rashin). Il codice non lo prevedeva, ma per Hossein non ci fu scampo. I giudici fecero riferimento alla sharia, la decisione fu immediata e senza appello. Diciotto anni dopo, quella condanna sta per essere sancita dalla legge. In parlamento la maggioranza è stata schiacciante: 196 voti favorevoli, solo 7 contrari. Ramtin, che è in prigione dall’agosto scorso, rischia di subire la stessa sorte del padre. È questione di settimane: tempo che il parlamento ratifichi il voto già espresso e l’Ayatollah firmi il codice.

Il timore di Rashin è che, per dare l’esempio ai “criminali” apostati, le autorità applichino la nuova norma indiscriminatamente. L’unica, debole speranza è l’indignazione della comunità internazionale. “Non sappiamo quello che succederà a mio fratello – dice Rashin – Sappiamo solo che, se vogliono ucciderlo, il suo destino è segnato.

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