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Iraniani in massa alle urne, Rafsanjani rischia

Fra gli elettori tanti giovani Ma il vincitore è destinato a un immobilismo simile a quello subito da Khatami

da Teheran

Non si sa se per forza o per ragione, ma intanto votano. Arrivano un po' tutti. Le famiglie al gran completo snocciolate da taxi stracolmi, madri e figlie in nero dietro, padre e figli baldanzosi davanti a tutti. Fidanzatini senza pudore, lei con il velo appoggiato fin sotto il collo e lui con i jeans finti «Diesel» con cavallo a mezza coscia.
Ma ci sono anche il gruppetto di sei studentesse di giurisprudenza avvolte nei chador e il ragazzino di sedici anni, solo al suo primo appuntamento con il voto. Lui, faccia imberbe, è già sicuro di svolgere, come suggerito in tv dalla Suprema Guida Alì Khamenei, un «dovere sacro». Appoggiato a un tavolo scrive sulla scheda il nome di Hashemi Rafsanjani, indifferente alle occhiate dei giornalisti e agli obbiettivi delle telecamere. «Rafsanjani - ti spiega con l'aria di chi ha studiato - è l'unico che mi dà sicurezza, l'unico che sa come guidare questo Paese e aiutare i giovani, per questo mi piace».
Ferste, Elahe e gli altri quattro neri chador arrivati da giurisprudenza hanno in mente solo il capo della polizia Mohammad Baqer Qalibaf, che le ha conquistate, dicono, per «il suo rigore, la sua determinazione, la sua integrità». L'ex questore famoso per aver piegato le rivolte degli studenti sembra, insomma, l'unico candidato capace di conquistare queste sei studentesse di legge fedeli ai canoni della rivoluzione islamica.
Fra le file di votanti si nascondono gli elettori del candidato riformista Mustafa Moin. Dicono di votare per i diritti civili e la libertà dei prigionieri politici. Di certo quest'inaspettata corsa alle urne dopo settimane in cui la parole apatia, astensione, boicotaggio sembravano aver preso il sopravvento sorprende un po' tutti. E la domanda che tutti si pongono è: chi li ha risvegliati? Qualcuno attribuisce il miracolo alla vivacità di una campagna elettorale mirata a conquistare il cuore dei giovani e animata da spot e comizi in stile occidentale. Qualcun altro ricorda invece i ripetuti inviti della Suprema Guida Alì Khamenei interessata, per i più maligni, a disinnescare il rischio di un presidente autorevole come Hashemi Rafsanjani.
La teoria di un complotto ai danni di un ex presidente va in queste ore per la maggiore. Secondo questa tesi l'invito a votare di Khamenei punterebbe a far vincere un altro candidato riformista per poi ridurlo allo stesso immobilismo in cui è stato costretto il presidente uscente Mohammed Khatami. La maggior parte dei voti di Mohammed Baqer Qalibaf e degli altri candidati della destra vengono da quello zoccolo duro del trenta per cento di elettori conservatori pronti a votare in ogni caso, anche solo per difendere la legittimità del sistema. Aumentando i voti diminuiscono inesorabilmente le loro percentuali e le loro possibilità di vittoria.
A sancire l'euforia dei riformisti ci pensa Reza Khatami, fratello del presidente uscente: «Mustafa Moin è in crescita mentre Qalibaf secondo le nostre stime è già fuori.

Al primo turno non ce la possiamo fare, ma al secondo, credetemi, sarà Rafsanjani e non il nostro candidato ad andare a casa».

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