Bagdad - Quel gesto di stizza gli è costato caro: tre anni di carcere. E' la condanna inflitta al giornalista iracheno Muntazer al Zaidi che lo scorso 14 dicembre lanciò le scarpe contro George W. Bush nel corso della sua ultima conferenza stampa in Iraq da presidente degli Stati Uniti. A dare per primo la notizia è stata la tv al Baghdadiya, l’emittente per la quale lavorava al Zaidi. Intanto, in Iraq, cresce il "mito" dell'uomo che ha osato sfidare gli Stati Uniti. Non è visto come un agitatore che ha preferito la violenza alle parole: come giornalista a Bush avrebbe potuto fare anche la più irriverente delle domande, oppure insultarlo. Ma lui ha preferito il gesto eclatante. Per chi contesta la presenza degli americani sul suolo iracheno al Zaidi è un eroe. Lo era già quando lanciò le scarpe. Oggi, dopo la condanna a tre anni (ma ne rischiava quindici), lo è ancor di più.
Un "lancio" premeditato Chissà da quanto tempo ci stava pensando. Voleva urlare in faccia a Bush il proprio sdegno. Sognava di farlo in modo eclatante, molto di più che con un articolo o un servizio tv. Quando finalmente ha avuto l'occasione di trovarsi faccia a faccia con il suo "bersaglio" non ci ha pensato due volte. E' passato all'azione. E il suo gesto, clamoroso, ha fatto in giro del mondo. Le immagini sono finite su internet e in pochissimo tempo oltre 600mila persone hanno scaricato il filmato. Quasi un record. Mai un paio di calzature era riuscito a fare notizia in questo modo. Neanche la "famosa scarpa" sbattuta sul tavolo delle Nazioni Unite da Nikita Kruscev nel lontano 1960.
Rabbia repressa Il trentenne Muntazer al-Zaidi progettava da lungo tempo la sua protesta. Detestava l'America e voleva manifestare tutta la sua rabbia nel modo considerato più offensivo per la propria cultura: toccare con la suola delle scarpe, considerata la parte più impura al mondo, il corpo del presidente Usa. Un gesto di sfida, un disprezzo elevato all'ennesima potenza. "Quando ci disse che intendeva compiere un atto del genere - raccontarono i suoi colleghi dopo la famosa conferenza stampa con Bush e il premier iracheno Maliki - non abbiamo avuto dubbi che lo avrebbe fatto davvero".
Anti Usa ma anche anti Saddam Laureato in Scienze della comunicazione all’Università di Bagdad in passato Muntazer aveva avuto alcuni guai con le truppe Usa: era stato arrestato un paio di volte. Semplicemente non mandava giù quella che considerava, a tutti gli effetti, un'invasione. Eppure non era un nostalgico di Saddam Hussein. La sua famiglia aveva subito la dura repressione del dittatore, con alcuni membri finiti in cella.
Si è sempre dichiarato innocente Il giornalista si è sempre dichiarato innocente dall’accusa di "aggressione a un capo di Stato straniero". Lo ha fatto subito prima del verdetto, affermando che la sua è stata una reazione "naturale" che avrebbe avuto "qualsiasi iracheno". Nella prima udienza, il 19 febbraio, aveva spiegato che "il sorriso glaciale" di Bush lo aveva fatto infuriare pensando al "milione di martiri" dell’invasione americana di cui a suo avviso Bush è "il primo responsabile".
L'avvocato: faremo ricorso "La sentenza è pesante e non è proporzionata alla legge", ha commentato l’avvocato Dhiaa al-Saadi, capo del collegio di difesa. La sorella dell’imputato Ruqaiya è scoppiata in lacrime e ha inveito contro il premier Maliki definendolo "agente degli americani".
Il fratello: verdetto politico "La condanna di mio fratello a tre anni di carcere non è affatto lieve, come alcuni dicono, perché viola la libertà di espressione in questo paese". È quanto ha affermato il fratello di Montazer al-Zaidi, Uday, intervistato dalla Bbc in lingua araba. "Si tratta di una condanna dura perché Bush non era un capo di stato in visita, ma il presidente di un paese occupante - spiega Uday -. Per questo presenteremo ricorso e già oggi mio fratello è diventato un eroe per chi contesta l’occupazione americana in Iraq".
Applicate le attenuanti L’Alta corte penale federale irachena ha applicato le attenuanti previste dall’articolo 223 del Codice penale, che stabilisce una pena da 3 a 15 anni di carcere per chi offende un capo di Stato straniero in visita nel paese. La sentenza non sarà considerare definitiva prima della ratifica della Cassazione. Dovrà passare ancora un mese.
Pressioni politiche Qualcuno ha messo in dubbio l'effettiva indipendenza dell’Alta corte penale. Si è parlato di "sentenza politica", per ingraziarsi gli Usa (oppure su pressione degli States). Ma il portavoce del Supremo consiglio della magistratura irachena, Abd al-Sattar al-Birqadar, ha ribadito che la sentenza "è stata emessa da giudici indipendenti, senza la minima influenza politica o governativa, e si basa sul Codice penale in vigore".
A conferma di ciò un dettaglio non secondario: il 19 febbraio scorso una delle commissioni dell’Alta Corte Penale aveva deciso di rinviare il processo per interpellare la segreteria generale del Consiglio dei ministri iracheno per verificare se la visita di Bush a Bagdad fosse ufficiale o meno. Anche da questa risposta è dipeso il responso della Corte.
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