Cultura e Spettacoli

ISLAM Le due battaglie rubate alla storia

La tesi: l’impero sasanide cadde per un golpe orchestrato sì da arabi, ma locali e cristiani

Qualche giorno fa l’iranista Volker Popp ha sorpreso il mondo accademico legato all’Islam, in particolare chi si occupa dei suoi primi momenti, con una sorprendente notizia distesa su 107 pagine di bel tedesco: a suo avviso le due grandi battaglie vinte dalle tribù arabe appena convertite a un Islam che scoppiava di vitalità e il pesante esercito persiano non sarebbero mai avvenute. Afferma il professore: «L’impero persiano non fu conquistato dai guerrieri musulmani provenienti dalla penisola araba. Ci fu, al contrario, una rivoluzione, o meglio un colpo di stato, all’interno dell’Impero, durante la quale la minoranza etnica araba vivente in Persia, soprattutto in Mesopotamia, prese il potere».
Orbene, nella storiografia finora accettata l’esercito arabo-musulmano - si parla sempre di qualche migliaia di uomini - attaccò improvvisamente l’Impero persiano. Anche se in un primo scontro, detto «la battaglia del ponte» (sottinteso «sull’Eufrate»), gli arabo-musulmani le presero di santa ragione, un anno dopo, con la battaglia di Qadisìa, nel 638, acquistarono il dominio dell’Irak. Questa vittoria fu poi seguita da un’altra legata a una località centrale della Persia, Nehàvand, nel 641, dopo la quale quest’Impero, come tale, si dissolse. Questo è quanto ci raccontano gli annalisti musulmani i quali, tra l’altro, si soffermano molto sul fatto che i musulmani vinsero per un pelo le supercorazzate armate persiane tra le cui file giganteggiavano gli elefanti, oltretutto sottolineando che in queste battaglie i musulmani persero un così alto numero di recitatori del Corano da convincere il Califfo a ordinare la stesura per iscritto - a quanto pare non voluta da Maometto - del Corano stesso.
Per la verità il nostro Leone Caetani, nei suoi monumentali Annali dell’Islam si pose dei dubbi sulla cronologia di queste battaglie contro i Persiani ma mai arrivò a negarle. Comunque il professor Popp parte da fatti incontrovertibili: mentre all’inizio del VII secolo la dinastia sasanide governava l’immenso impero che lambiva la Cina, alcune decadi dopo i Sasanidi furono rimpiazzati da altri governanti. Ma Popp nega il resto, cioè che guerrieri arabo-musulmani (che egli ama chiamare «irregolari») provenienti da quella che è oggi l’Arabia saudita, avrebbero vinto la superpotenza del momento con una vittoria devastante usando lo zelo religioso e lo sprezzo della morte come le loro più potenti armi. Ed aggiunge, quasi infuriato: «Nella tradizione islamica questo ultimo aspetto è quasi un articolo di fede. Le vittorie di questi irregolari su Bisanzio e sulla Persia sono considerate miracoli volti a confermare il messaggio della nuova religione: l’Islam. Al contrario: l’armata persiana subì veramente una devastante sconfitta. Ma non gliela inflissero i guerrieri musulmani provenienti dalla penisola araba, bensì l’esercito dell’altra superpotenza: l’Impero bizantino. Questa sconfitta è anch’essa un fatto storico».
Per la verità molti degli orientalisti europei del passato si posero il problema di come in susseguenti battaglie potessero esser stati sconfitti dai cavalieri musulmani i due più potenti eserciti del nostro mondo di allora. La risposta è sempre stata, accompagnata da un sospiro sottolineante l’incertezza, quella che gli eserciti dei due imperi bizantino e sasanide, logoratisi in continue guerre, fossero esausti, al momento in cui furono attaccati di sorpresa dagli arabi.
Il professor Popp insiste: «Il disastro militare dei Persiani avvenne nell’anno 622, l’anno nel quale, d’accordo con la biografia tradizionale, il profeta Maometto migrò dalla sua nativa Mecca a Medina. A mio avviso questa è la ragione per la quale il 622 è considerato l’inizio dell’era islamica: l’ègira». Seguendo la sua tesi egli arriva alla conclusione che la sconfitta dei Persiani da parte dei Bizantini nel 622 portò a un «cambio della guardia» all’interno dell’Impero. Questo fu il momento nel quale gli arabi cristiani indigeni del disorganizzato mondo della grande Persia presero il potere riempiendo un vuoto. La novità contenuta nella sua teoria è che, all’inizio di questo cambiamento furono dei capi arabi locali a continuare la tradizione dell’impero persiano. Solo molto dopo, retroattivamente, il loro impero fu pubblicizzato dagli storici musulmani come il Califfato islamico.
È noto che da secoli v’erano nel Medio Oriente dei regni che erano interamente o parzialmente arabi, interamente o parzialmente cristiani. Famoso il regno di Hira sull’Eufrate, che era un importante satellite dell’impero persiano. Ma il nostro autore nega l’interpretazione tradizionale degli eventi - quella delle grandi campagne di conquista portate avanti dalle armate arabe musulmane - affermando che è tutta opera di storici musulmani di due secoli dopo i quali, sostenendo in pieno la nuova dinastia, costruirono una storia tinteggiata politicamente e teologicamente.
L’impero persiano era composto da molte etnie. Sino al 622 erano stati i Persiani a dominare il coloratissimo insieme. La casa reale era persiana e la religione di stato era la religione di Zoroastro. Lo zoroastrismo però non era la sola religione: cristianesimo e buddismo prevalevano tra la popolazione rispettivamente ad occidente e ad oriente. In questo impero gli arabi erano un importante gruppo etnico. Essi erano stanziati specialmente in Irak ed in maggioranza erano cristiani.
All’inizio del VII secolo vi fu un colossale conflitto tra i bizantini e l’Impero persiano con molti fronti in Siria, Palestina ed Egitto ed il Corano pare riferirsi a questo. Inizialmente tutto va disastrosamente per i bizantini. Il più grave insulto è la devastazione della chiesa del Santo Sepolcro a Gerusalemme. L’imperatore di Costantinopoli fu spaventosamente umiliato poiché era considerato il guardiano del luoghi sacri cristiani. Ma improvvisamente vi fu la ripresa vittoriosa dei bizantini e la soddisfazione divenne completa quando l’imperatore distrusse il più importante sacrario del culto di Zoroastro, il tempio del fuoco, e riportò a Gerusalemme la Croce.
Ed ecco le «prove». Il nostro autore afferma che la sua documentazione sul «golpe» arabo-cristiano al vertice dell’Impero Persiano si basa sullo studio delle monete arabe del VII secolo trovate in Iran, le quali mostrano aspetti che contraddicono la storiografia tradizionale. Sulle monete non figura neppure uno dei nomi dei maggiori clan della penisola araba che avrebbero dovuto essere tra i conquistatori della Persia. Il fatto che i nomi arabi sulle monete a volte abbiano suffissi persiani non quadra con una vittoria militare. Una delle monete del VII studiate da Popp porta inciso il nome Zubarian. È il nome arabo Zubair con unito il suffisso persiano «-n». Egli non considera possibile che un arabo abbia prima partecipato alla conquista dell’impero e poi abbia persianizzato il proprio nome. Questa assimilazione è tipica nel comportamento di un soggetto dell’impero.
Un punto importantissimo, a suo avviso, nella nuova tesi sulla presa del potere da parte dei cristiani arabi indigeni è legato alla bruciante questione del termine «servo d’Iddio» usato come titolo nelle monete sulle quali non figura mai il termine «Califfo». Il termine arabo ’Abd-allah che in arabo vuol dire «servo d’Iddio» è la traduzione del cristianissimo servus dei delle monete bizantine. Oltretutto, uscendo dalla numismatica, nell’iscrizione in greco trovata scavando i bagni di Gadara è scritto: «Nei giorni di Abdalla, Muawia, emiro ... nell’anno 42 dell’era degli arabi». Si tratta del Califfo Muawia, che fu al vertice dell’Islam tra il 663 e il 680 (rispettivamente il 43 e il 63 dell’ègira) ma parla di «abdalla» (ovvero «servo d’Iddio») e di Emiro ma non vi figurano né il titolo di Califfo né la menzione dell’ègira come tale. «Qualcosa del genere - continua Popp - è anche visibile sulle monete arabe di quel tempo perché esse sono piene zeppe di simboli cristiani».
Di questa tesi si parlerà a lungo. Notizie nuove, e a volte incontrovertibili, ne giungono e ne giungeranno sempre, come quella che ci è arrivata dalla storiografia cinese sull’Impero Persiano d’Oriente, rimasto sulla carta. Da poco tempo si sa della romanzesca fuga del principe ereditario persiano in Cina, di come il Signore del Celeste Impero gli fece costruire un Impero d’Oriente in esilio, illudendolo di poter poi riconquistare quello dei suoi predecessori. Di sicuro sappiamo che questi progetti svanirono alla fine della battaglia di Talas, nel 731, ove si arrestò l’avanzata islamica verso Oriente. Ma sappiamo anche che i prigionieri cinesi catturati durante questo durissimo scontro insegnarono agli arabi a fabbricare la carta, che sostituì la più costosa pergamena.

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