Israele all’Europa: non appoggiate i terroristi

Roberto Fabbri

L’Unione europea non dialoghi con «un governo terrorista». Lo ha detto ieri Tzipi Livni, neoministro degli Esteri di Israele, prima di prendere parte alla riunione straordinaria indetta dal capo del governo Ehud Olmert per discutere il da farsi dopo la notizia-choc della vittoria di Hamas alle elezioni legislative palestinesi. Alla consultazione urgente voluta dall’erede di Ariel Sharon hanno partecipato anche il ministro della Difesa Shaul Mofaz, il presidente del consiglio per la sicurezza nazionale e i responsabili dei servizi segreti e della polizia.
La signora Livni ha rilasciato un comunicato in cui chiede all’Europa dei Venticinque di «spiegare chiaramente che non vi sarà alcuna partecipazione europea ad un processo che mira a creare un governo terrorista». Dopodiché ha avuto un colloquio telefonico con il segretario di Stato americano Condoleezza Rice.
Dei suoi colleghi dell’esecutivo, ieri sera nessuno aveva rotto il silenzio. Comprensibile, dal momento che l’imprevisto trionfo degli integralisti islamici nei Territori palestinesi scompagina i programmi del governo israeliano e mette in inattesa difficoltà il partito neocentrista Kadima, che aveva puntato tutto su seri negoziati di pace con una controparte guidata ancora da Al Fatah. Disarmate gli estremisti e troveremo un accordo, era l’offerta di Olmert ad Abu Mazen. Ma adesso, invece, è l’erede politico di Yasser Arafat che è finito «disarmato», consegnando le leve del potere proprio agli estremisti. Una nuova situazione che offre insperate chances al malandato partito Likud, già pronto a proporsi come l’unico credibile garante della sicurezza degli israeliani.
Le poche voci di Kadima che ieri sera si sono fatte sentire insistono sulla necessità di uno stretto coordinamento con la comunità internazionale: Hamas deve essere obbligata a cedere alle pressioni affinché rinunci alla violenza e riconosca Israele, o in caso contrario dovrà essere tolto il sostegno economico internazionale alla Palestina. «Le posizioni degli Stati Uniti in merito sono ancora più radicali delle nostre» ha osservato l’esponente di Kadima (ed ex laburista) Haim Ramon, che pure non crede opportuno scatenare anatemi contro Hamas, ricordando che anche l’Olp, anni fa, era su posizioni intransigenti poi abbandonate.
Ben diverse, come si diceva, le posizioni del partito di destra Likud. Il leader Benyamin Netanyahu, fino a ieri inesorabilmente marginalizzato dai sondaggi, ha subito fiutato un nuovo vento a lui favorevole e si è gettato con rinnovata energia a criticare le scelte fatte dal governo di Sharon, in primo luogo il ritiro unilaterale israeliano dalla Striscia di Gaza lo scorso agosto. «Nel giorno internazionale della memoria della Shoah - ha detto ieri sera Netanyahu - dobbiamo renderci conto che quando viene minacciata la nostra distruzione è sbagliato minimizzare il pericolo. Davanti ai nostri occhi è stato creato lo “Stato di Hamastan”, uno Stato satellite dell’Iran a immagine dei talebani. È stato creato - ha proseguito il leader del Likud - in prossimità di Gerusalemme, di Tel Aviv, dell’aeroporto internazionale Ben Gurion. Serve un esame di coscienza, perché tutto ciò era già scritto. Così una politica di ritiri unilaterali ha ricompensato il terrore di Hamas».
All’altra estremità dello spettro politico israeliano, il nuovo leader laburista Amir Peretz ha a sua volta chiarito che il suo partito rifiuta di considerare Hamas un interlocutore per dei colloqui di pace.

Per il partito laburista «Hamas non è un partner a causa delle sue azioni e dei suoi convincimenti. Non negozieremo con un’entità che è un’organizzazione terroristica e non permetteremo che qualcuno ci obblighi a riconoscere chi dichiara di voler distruggere Israele».

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