di R.A.Segre
A una settimana dalle elezioni generali in Israele (10 febbraio) l'avvenimento più clamoroso in questa noiosa, svogliata campagna elettorale assorbita dalle tre settimane di guerra a Gaza, è sta la rivelazione del quotidiano Haaretz che Avigdor Lieberman, leader del partito di estrema destra Israel Beiteinu è stato membro del Kach, famigerato partito del rabbino Meir Kahane, (assassinato anni fa in America), messo al bando nel 1988 per «incitamento al razzismo» e le sue tendenze antidemocratiche. La fonte della notizia sarebbe nientemeno che l'ex segretario generale del defunto partito Yossi Dayan, secondo il quale Lieberman avrebbe ricevuto una tessera del movimento non molto tempo il suo arrivo in Israele dalla Russia nel 1979. «Non ci occupiamo di questa provocazione orchestrata» è stata la secca risposta del portavoce di Israel Beitenu che attribuisce le accuse all'invidia e alle paure che il previsto successo del partito sta suscitando.
Comunque stiano le cose la notizia non deve essere piaciuta al leader del Likud Netanyahu, probabile vincitore di queste elezione, ex partner commerciale di Lieberman a cui ha probabilmente garantito un portafoglio ministeriale nel suo eventuale futuro governo. Se i pronostici saranno confermati Israel Beiteinu potrebbe ottenere persino 18 seggi parlamentari (sui 120 della Knesseth) diventando il terzo partito del Paese e sorpassando il partito laburista, nonostante il successo personale del suo leader, Barak, ministro della difesa nella brillante condotta della guerra contro Hamas e forse piazzandosi immediatamente dopo del partito Kadima della signora Livni.
L'immagine del ministro degli esteri, che solo alcuni mesi fa sembrava la nuova stella nel firmamento politico israeliano, è stata offuscata dal ruolo secondario avuto durante la campagna contro Gaza, dalle continue tensioni con il primo Ministro Olmert ma soprattutto dalla suo fallimento nel creare una nuova coalizione. Compito che le era stato affidato dal Presidente dello stato e che ha portato ad elezioni che nessuno voleva.
Questo significa - sempre che i pronostici di avverino - che il cosi detto fronte della destra - guidato da Netanyahu, composto dal Likud, da Israel Beitenu e dai partiti religiosi (responsabili del fallimento della Livni nel formare un nuovo governo prima delle elezioni) potrebbero controllare persino 75 seggi. Il che potrebbe avere due serie conseguenze. La prima di fare del partito di Lieberman l'ago della bilancia in una coalizione laica-religiosa con interessi molto differenti in politica finanziaria e interna. La seconda di accantonare - almeno per un lungo periodo di tempo - l'idea di uno stato palestinese accanto a quello israeliano, tanto più perché Netanyahu è convinto che non si può parlare con uno stato palestinese prima di aver eliminato Hamas ed elevato lo standard di vita degli abitanti della Cisgiordania sotto l'amministrazione dell'Autorità palestinese di Abu Mazem o di qualcun altro.
Forse gli elettori decideranno altrimenti. Ma la vera posta in gioco di queste elezioni potrebbe rivelarsi paradossalmente quello a cui tanto l'estremismo islamico quanto l'estremismo ebraico per ragioni totalmente opposte mirano: l'esistenza in Palestina di un solo stato, dominato da una delle due parti.
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