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Israele: missione ritiro compiuta Evacuate le ultime due colonie

Tra urla e pianti 12mila soldati appoggiati da bulldozer sgomberano gli abitanti di Homes e Sa Nur in Cisgiordania. Gli insediamenti di Kadim e Ganim erano stati abbandonati una settimana fa

Gian Micalessin

da Homes

Le due montagne alla fine hanno partorito topolini. Quella di Homes e Sa Nur doveva essere la madre di tutte le resistenze. Lo prometteva Yadidya Lerner portavoce dei coloni di Homes, pronosticando almeno due giorni di ostilità. Lo temevano i capi di polizia ed esercito allertati dai servizi di sicurezza. Le informative segnalavano da giorni individui armati tra le migliaia di teste calde confluite a nord-ovest di Nablus per difendere le due ridotte. Invece si è soltanto replicata la grande evacuazione di Gaza.
Una replica in tono minore e senza più pathos. A Gaza i coloni abbandonavano case, attività, sogni, parenti defunti. Qui nessuno abbandona alcunché. Qui nessuno ha né il diritto di piangere, né il potere di commuovere soldati e poliziotti. Le famiglie originarie hanno abbandonato da anni queste sperdute ridotte isolate nell'oceano palestinese. A Kadim e Gadim, le altre due colonie cisgiordane destinate alla chiusura, i residenti han fatto fagotto da una settimana. Qui si sono concentrati gli irriducibili di tutta Samaria. Famiglie agitate ed errabonde alla ricerca di un'ultima frontiera nel cuore dei territori palestinesi. Ragazze e ragazzini esaltati, scaldati dagli slogan dell'estremismo religioso ebraico.
Ma per resistere ci vuole altro. Alle otto quando i bulldozer artigliano cancelli, barricate e copertoni in fiamme, una marea nero-verde sommerge le due alture. Davanti gli scudi e i manganelli degli Yaman, le forze antisommossa della polizia, dietro la polizia di frontiera e le unità dell'esercito. Seimila divise per ciascuna colonia ribelle. Sei uomini per ogni rivoltoso. E nessuna trattativa. La fortezza ottomana e le due sinagoghe, le ultime ridotte di Sa Nur, sono già sotto assedio.
A Homes la marea in uniforme circonda la yeshiva Har Shalom gremita di ragazzini, abbatte la porta a colpi di mazza, sposta materassi e pneumatici in fiamme, taglia il filo spinato. Loro sono a terra, occhi sgranati, bocche spalancate, braccia e gambe intrecciate in un inestricabile groviglio d'urla e preghiere. Una ragazza urla, si dimena, minaccia di saltare dal tetto della casa occupata dalle sue ottanta coetanee. Un teppistello agita un coltello, cerca di colpire un soldato. Soldati e polizia indugiano per un attimo fatale. Un'ondata di farina, ketchup, uova e vernice li travolge. Una borsa di candida vernice sbianca persino il vice comandante Yizhar Peled. «Te lo meriti - grida dal tetto un ragazzino - perché sei diventato un soldato di Arafat».
Un minuto dopo i soldati sono dentro la yeshiva a scardinar quel nodo umano, a trascinar adolescenti e coetanei urlanti verso i bus. Donne poliziotto e soldatesse vanno a prendersi cura delle ragazze barricate in casa con le stelle gialle sul petto.
Al nono giorno del ritiro ordinato dal premier Ariel Sharon dalla Striscia di Gaza e dai 4 insediamenti cisgiordani, l'abitudine ha stemperato le emozioni. Le urla dei rimossi, le accuse di deportazione non fanno più breccia. Gli irriducibili della yeshiva sono sul tetto. L'arma segreta studiata per loro è un bulldozer. Nella pala salgono i soldati, poi il mostro d'acciaio blindato s'accosta con un rombo all'edifico, solleva il braccio, le forze di sicurezza sono sul tetto. Quando ridiscende la pala è piena di ragazzini e adulti pronti per le manette o il ritorno a casa. Alle cinque, due ragazzini penzolano dall'alto di 25 metri di antenne, ma il grosso del lavoro è terminato. Il comandante della polizia studia come tirarli giù mentre le sue «donne» ammanettano le ultime trenta delle ottanta ribelli barricate in casa. A quell'ora si contano già 700 arresti a Homes e più di 600 a Sa Nur.
A Sa Nur la fortezza ottomana torna alle antiche gesta. Sul tetto sbraitano i cuor di leone della protesta. Li guidano il parlamentare dell'Unione Nazionale, Aryeh Eldad, il leader dei coloni Pinchas Wallerstein e Lior Dov, rabbino di Kiriat Arba uno dei più agitati insediamenti della Cisgiordania. Sono una quarantina di facinorosi con spranghe di ferro e lunghe assi di legno. «Maledetto chi deporta i propri fratelli dalle case», recita lo striscione sopra di loro La polizia non si scompone.
Una cinquantina di gendarmi s'ammassa in due container arroventati dal sole, due gru li alzano sul tetto. I ribelli li respingono a colpi di scale, mazze e picche. Ma una salva d'acqua ad alta pressione spegne la loro combattività. La pattuglia Yaman è sul tetto, affoga gli esagitati in una nube di lacrimogeni. La battaglia è gia vinta. I militari devono solo convincerli a prendere il loro posto nei container o ficcarceli dentro a forza di braccia.

I ribelli lo capiscono, chiedono un minuto, intonano l'inno nazionale, ripiegano la bandiera, abbracciano la Sacra Torah, s'accomodano nella gabbia e iniziano il loro viaggio verso la prigione.

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