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Israele potrebbe anticipare il ritiro da Gaza

Alberto Pasolini Zanelli

da Washington

Condoleezza troverà forse una sorpresa nel ranch di Ariel Sharon: è arrivata a Gerusalemme con l’abitudine di spingere i governanti israeliani in genere riluttanti verso lo sgombero degli insediamenti nei Territori e rischia stavolta invece di trovarsi di fronte un interlocutore che li vuole anticipare. Per quanto riguarda Gaza, naturalmente. La situazione locale è diventata talmente tesa che le autorità di Gerusalemme prendono seriamente in esame l’ipotesi di non aspettare il 15 agosto, data annunciata per l’inizio delle operazioni di ritiro da Gaza, per prevenire le azioni di sabotaggio che i coloni si preparano a compiere con l’appoggio degli ultrà dello Stato ebraico.
Secondo il vicepremier israeliano Ehud Almert, lo sgombero potrebbe cominciare in ogni momento, addirittura oggi: cioè mentre il segretario di Stato americano è sul posto. A quanto pare la diplomazia Usa non era preparata, almeno ufficialmente, a un contesto del genere. Tanto che Condoleezza Rice era partita da Washington con una proposta da presentare a Sharon: un nuovo incontro con il leader palestinese Abu Mazen prima dell’inizio dello sgombero di Gaza. Il premier aveva però già messo le mani avanti escludendo il colloquio, che sarebbe stato imbarazzante per entrambi e avrebbe avuto il solo fine di «guadagnare tempo», mentre il governo israeliano è piuttosto incline ad anticipare i tempi. Il segretario di Stato ne parlerà comunque, prima ancora che con Sharon, con il ministro degli Esteri israeliano Silvan Shalom, con il ministro della Difesa Shaul Mofaz e con il principale consigliere di Sharon, Dov Weissglass.
Domani l’inviata di Bush si incontrerà invece a Ramallah con i rappresentanti dell’Anp. La sua visita durerà in tutto tre giorni ed è dunque possibile che un gesto storico venga compiuto proprio sotto i suoi occhi. A consigliare un anticipo è venuto da un lato il voto definitivo del Parlamento di Gerusalemme, la Knesseth, che ha respinto con una netta maggioranza (68 contro 43) la richiesta dei partiti religiosi e dell’estrema destra di rinviare le operazioni a Gaza per «motivi logistici». Nel voto il partito di Sharon, il Likud, si è ancora una volta diviso, fra coloro che si sono rifiutati di appoggiare Sharon c’è anche il ministro delle Finanze Benjamin Netanyahu, che è notoriamente contrario a qualsiasi ritiro unilaterale. I motivi «logistici» si riassumono nella mobilitazione dei coloni e dei loro simpatizzanti, dopo un duro confronto con polizia ed esercito protrattosi nella notte, i dimostranti si sono ritirati ma il capo del Consiglio degli Insediamenti ha preannunciato una nuova strategia della protesta: «Ci infiltreremo a piccoli gruppi e in due settimane saremo là in diecimila». Il governo considera, nelle parole di un portavoce di Sharon, Lior Horev, questo comportamento «una rivolta contro lo Stato nel tentativo di mettere in ginocchio il Paese. Qui è in gioco la democrazia in Israele e non possiamo permetterci di cedere alla violenza».
A quest’ultima hanno invitato di nuovo due dei leader storici del partito nazional-religioso, il rabbino capo novantaquattrenne Avraham Shapira e il direttore del quotidiano del partito, Hazofè, che ha scritto che «la dittatura di Sharon non si ferma: per la prima volta nella storia di Israele l’esercito ha avuto l’ordine di stringere d’assedio un insediamento ebraico».

Per questo, ha ripetuto alla radio israeliana il vicepremier Almert, «gli sviluppi degli ultimi giorni indicano che si va verso uno scontro frontale», che potrebbe comportare spargimenti di sangue e coinvolgere anche la popolazione palestinese.

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