Un’isterica, splendida Mariangela

Un’isterica, splendida Mariangela
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Dario Vassallo

Quando andò in scena per la prima volta a Broadway, nell'ottobre del 1962, «Chi ha paura di Virginia Woolf?» scandalizzò l'America puritana di quegli anni: una stilettata nel cuore di un paese opulento, un attacco frontale ad una middle class borghese e tradizionalista e un requiem più o meno definitivo per quell'American dream che pure iniziava a nascere. Storia di paura e rabbia, violenza e fragilità esistenziale, il dramma di Edward Albee è adesso stato ripescato dai cassetti del ricordo e della memoria e proposto in una co-produzione tra Teatro di Genova e Compagnia Lavia che finalmente è approdata alla Corte.
Accade tutto in una notte. Basta soltanto una notte ad altissimo tasso alcolico per far venire a galla delusioni, violenze e dolori di una vita intera, un sabba infernale che mette a confronto due coppie, una di mezza età, George e Martha, e una di giovani, Nick e Honey: un opaco professore universitario ha sposato la figlia viziata del preside della facoltà ma ne ha disatteso le aspettative; di fronte, incontrati occasionalmente ad una festa e subito invitati in casa, un professorino ambizioso e la moglie, affetta da una malintesa angoscia della gravidanza. Tra loro, un fantasma: il figlio inventato da George e Martha come stampella per compensare il reale, la ricerca di un luogo perduto, il simbolo di un'attesa che non si realizza mai. Come Godot. Tanto che Lavia, anche regista dello spettacolo, ha creato con Carmelo Giammello una scena molto beckettiana, una casa in decomposizione sullo sfondo delle luci sfavillanti di New York che diventa la radiografia di una società malata.
Perché lo scarto rispetto alla principale lettura che il dramma offriva quando venne scritto, ovvero l'insostenibile pesantezza del vivere affogati dall'alcool e dalla noia, sta proprio qui: certo, c'è anche lo specchio di un teatro come ossessione ma soprattutto un confronto tra Storia e America (e dunque tra Storia e l'intero mondo occidentale che da sempre si identifica, nel bene e nel male, con quello yankee) che finisce per creare un inquietante corto-circuito tra i valori nei quali crediamo e la nostra stessa coscienza.
Da questo punto di vista, «Chi ha paura di Virginia Woolf?», il cui titolo non si riferisce alla famosa scrittrice ma piuttosto ad una canzoncina per bambini, colpisce per la sua inattesa contemporaneità. Albee insomma, pur senza essere né Williams né Miller, più di vent'anni prima dei fratelli Coen si era accorto che l'idilliaco paradiso in cui la gente credeva di vivere ai suoi tempi si sarebbe presto trasformato in un incubo, e dei peggiori. Detto questo, è anche vero che il gioco si fa via via scopertamente ripetitivo e dunque sarebbe stato meglio lavorare qua e là per sottrazione, togliendo magari l'intervallo che interrompe un po' gratuitamente la tensione narrativa.


Restano da sottolineare le interpretazioni: ben supportati da Emiliano Iovine e Agnese Nano, Lavia veste con ironia e sicurezza i panni di George e Mariangela Melato regala forse la migliore prova della sua carriera «genovese», una donna inasprita dalla vita che riscatta la propria isteria con accenti di dolore vero.

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