Era prevedibile, considerate tutte le circostanze e il tipo umano del responsabile, che Massimo Tartaglia, accusato di aver aggredito il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi scagliandogli contro una riproduzione in miniatura (ma assai pesante) del Duomo di Milano, sarebbe stato dichiarato infermo di mente e perciò non imputabile. E lo era in quanto fin dai primi momenti dopo l’aggressione si capì che la linea difensiva approntata da alcuni giornali vicini alla sinistra e, poco dopo, dagli stessi difensori sarebbe stata proprio quella di chiedere la non imputabilità per infermità di mente.
Così doveva andare e così è andata. Si badi: si trattava di una strada per molti versi obbligata e che infatti è stata correttamente battuta dal giudice in sede di giudizio abbreviato, il quale non poteva che prendere atto della realtà.
Tuttavia, pur essendo in presenza di un provvedimento formalmente ineccepibile, è questo un caso in cui pare opportuno fare un passo oltre, chiedendosi quali possano essere le sue conseguenze sul piano della psicologia collettiva. So bene che si tratta di effetti ultragiuridici che, come tali, dovrebbero esulare da un discorso di natura strettamente processuale; tuttavia, in casi del genere, che non sono casi ordinari proprio in quanto la vittima del reato non è uno qualunque, ma lo stesso capo del governo, è lecito porsi anche interrogativi di tipo diverso. Da questo punto di vista, il provvedimento che sostanzialmente scagiona Tartaglia in quanto incapace di intendere e di volere è potenzialmente foriero di effetti pericolosamente negativi.
Infatti, qualche soggetto poco incline a razionalizzare (come se ne trovano tanti in una società complessa come la nostra) o altro che si trovasse in stato di non perfetta consapevolezza (per esempio per aver abusato di alcol) potrebbe pensare - e non a torto - che aggredire il capo del governo italiano sia più facile e dopotutto meno grave che aggredire il vicino di casa per una banale lite di condominio.
Se aver prodotto a Berlusconi lesioni facciali che hanno richiesto un ricovero ospedaliero e un vero intervento chirurgico ha condotto ad una semplice ed indolore dichiarazione di non imputabilità, tanto vale provarci ancora; e tanto più se si pensa che colpire in modo analogo il vicino di casa condurrebbe di sicuro ad esiti giudiziariamente assai più severi anche con riferimento alla richiesta di risarcimento del danno che in sede civile costui non mancherebbe di avanzare.
Certo, il capo del governo - a prescindere dall’esistenza del reato - non chiederà mai un ristoro economico per il danno subito dal momento che la nobiltà del ruolo gli impone di mettere in pratica la virtù della longanimità nei confronti dell’aggressore. Al contrario, il vicino di casa chiederà subito e per intero il risarcimento del danno subito: e andrà fino in fondo, non fermandosi davanti a nulla e a nessuno.
Insomma, il messaggio che vien fuori da questa storia è rischioso: che cioè prendersela con il Capo del governo, in fondo, è quasi uno scherzo e come tale va trattato; col vicino di casa è invece roba seria, tremendamente seria.
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