«Itabolario»

Vocabolario? No Itabolario (Carocci, pagg. 372, 23 euro). Cioè una raccolta di lemmi - così i linguisti hanno l’abitudine di chiamare quegli oggetti immateriali che tutti gli altri chiamano parole - che riassume centocinquant’anni di storia italiana. È questa l’idea che è venuta al linguista Massimo Arcangeli che ha curato la realizzazione di un glossario che va dall’Unità a oggi: ogni anno una breve scheda intitolata ad una locuzione di riferimento, quella che ha dominato quei 365 giorni. Insomma la storia per parole chiave, per titoli e occhielli di giornale, per mode e per «temi forti».
Il risultato?
Una radiografia dell’evoluzione del carattere degli italiani, delle loro idiosincrasie, dei loro vezzi, della loro passione, feroce ma effimera, per certi tormentoni. Ma anche un’indagine in punta di lingua per riscoprire le loro caratteristiche più profonde. Insomma, un primo tentativo di fare un «carotaggio» - cosi si direbbe in geologia - che mostri la sedimentazione culturale di termini che abitualmente usiamo, o l’esame paleontologico di parole che si sono estinte come dinosauri lessicali. E la lettura davvero diverte, sia nell’ovvietà di alcuni tormentoni sia nella stranezza di altri.
Ad esempio, è ovvio che il 1861 sia dominato dal lemma «Nazione». Finì dappertutto, dai discorsi dei politici, ai titoli dei pochi quotidiani ai nuovi libri di scuola. Significativa piuttosto l’escalation degli anni subito seguenti: 1862 «Inno»; 1863 «Brigantaggio»; 1864 «Sillabo»; 1865 «Mafia». Insomma già in un quinquennio i problemi forti e duraturi del Paese, le fratture, erano venuti a galla ed erano diventati refrain inarrestabile.
Ma al di là del peso della politica (lo sapevate che l’anno dei «Portaborse» è il 1980 e quello del «Burocratese» il 1979?) le parole chiave che hanno fatto l’Italia e l’Italiano rivelano tante cose.
Prima fra tutte l’esterofilia. L’arte di arrangiarsi vi sembra tutta nostra, connaturata da sempre alla nostra mediterraneità? No «arrangiarsi» è il termine chiave del 1877 ed è «un verbo francioso de’ dialetti cisalpini» e a questo titolo viene inserito nel Lessico dell’infima e corrotta italianità, proprio di quell’anno. Ma non solo parole “franciose” già nel 1869 sono tutti a parlare di «selezione» sul calco dell’inglese selection che segna l’arrivo delle teorie darwiniane nel nostro Paese e dal 1878 tutti vogliono andare in «Tram», mentre è dal 1951 che tutti vogliono andare al «Festival», ovviamente di San Remo. Insomma gli italiani sono esterofili a partire dalle parole che più li connaturano, e non da oggi. E a questa lista potremmo tranquillamente aggiungere Liberty (1900), taxi (1914), pulp (1994)... Dovranno farsene una ragione tutti i puristi della lingua. Nemmeno nel Ventennio, infondo, le parole neoitaliane hanno mai sfondato. Ci si deve accontentare di «Pugilato» al posto di Boxe, ma solo perché il 1933 è l’anno di Carnera.
Per il resto a sfogliare questo elenco ci si rende rapidamente conto che siamo anche un popolo un po’ modaiolo e qualunquista. Forse è inevitabile se si ragiona per termini chiave. Ma a volte davvero si esagera: 1946 «Repubblica», 1958 «Volare», 1960 «Dolce Vita», 1967 «Hippy», 1968 «Contestazione», 1987 «New Age», 2010 «Social Network»...
Ma che dire, una coscienza nazionale fragile probabilmente produce, inevitabilmente, un vocabolario fragile da «Furbetti» (2006), del resto è almeno dal 1868 che si pone anche la questione della «Lingua».

Beh almeno Arcangeli e i molti studiosi che l’hanno aiutato con l’Itabolario l’hanno posta in modo diverso, tracciando un percorso nuovo per rintracciare le nostre radici. Magari tra centocinquant’anni ci diranno che è Itabolario la parola del 2011.

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