In Italia gli inglesi fanno soldi con i trasporti

Il manager del colosso Arriva: «Le società private garantiscono più efficienza»

«Siamo convinti che con questo mestiere si possa creare valore per tutti. E la capacità di fare profitti è la condizione necessaria perchè un'azienda possa vivere». Dal Portogallo alla Polonia Marco Piuri, ex numero uno di Ferrovie Nord, gestisce un piccolo impero fatto di migliaia di autobus. È il responsabile per l'Europa meridionale, centrale e orientale di uno dei colossi internazionali del settore, Arriva. In Italia la società inglese ha appena acquistato il 100% della società di trasporto pubblica di Cremona e una società di autobus interurbani della valle d'Aosta, la Savda. Insieme a Ratp (la società che gestisce i mezzi pubblici nella regione parigina) è in pole position per approfittare dell'apertura del mercato italiano.

Ratp ha vinto qualche tempo fa la gara per l'intero mercato degli autobus interurbani in Toscana, ma il risultato è ancora bloccato dai ricorsi dei concorrenti che hanno protestato per la mancata reciprocità: la società è di proprietà del governo francese e sul terreno di casa è protetta dalla concorrenza grazie alle assegnazioni in affidamento diretto. «La storia di Arriva è invece quella di una piccola azienda nata negli anni Trenta a Sunderland con il commercio di autobus usati», spiega Piuri. E da lì Arriva si è allargata a mezza Europa: gestisce con i suoi 55mila dipendenti società ferroviarie, autobus tram e traghetti. In passato quotata alla Borsa di Londra è stata acquistata nel 2010 dal gruppo ferroviario tedesco, Deutsche Bahn. «Nel mercato italiano convivono realtà diversissime», spiega Piuri. «Ma la caratteristica che accomuna tutto è la concezione del trasporto pubblico come parte del welfare, che ha la conseguenza di comprimere al ribasso le tariffe, che sono le più basse d'Europa. Il risultato è il sistema più iniquo che c'è, che tratta tutti allo stesso modo, il precario e il ricco professionista. Tutto poi viene pagato con i soldi del contribuente senza differenze tra chi usa l'autobus e chi non lo usa, tra chi è efficiente e chi non lo è».

Quanto alla liberalizzazione, secondo Piuri, «è rimasta incompiuta. Non si è andati fino in fondo. Ci sono le municipalizzate che sono società di capitale e formalmente rispondono al codice civile, ma poi vengono trattate come se fossero un pezzo di pubblica amministrazione». E gli enti locali che decidono di aprire il mercato del trasporto pubblico lo fanno a volte per le ragioni sbagliate: «Lo si fa perché si è costretti da ragioni finanziarie e non perché si è convinti dei vantaggi per l'utilizzatore finale e perché l'ente locale deve fare il regolatore e non l'operatore». E mentre l'Italia è alle prese con il risanamento delle municipalizzate il resto dell'Europa sta già facendo i conti con le nuove realtà dell'era post-internet. «In pochi anni il concetto di mobilità è cambiato.

Ci sono fenomeni come il car sharing o BlaBlacar. Le città crescono in termini di concentrazione, densità e ricchezza. Per un gruppo come il nostro diventa indispensabile essere presenti con forza nelle aree urbane e ripensare le reti extraurbane».

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