Fatte un paio di equivalenze, da scuole inferiori, settantaquattro millimetri e mezzo di pioggia, misura caduta sull'Urbe di Roma ieri, nel tempo del derby di pallone, un'ora e mezzo, dovrebbero corrispondere a settemila e quattrocentocinquanta litri di acqua per ogni cento metri quadrati, roba pesante, tostissima, per rendere l'idea un'autobotte che aprisse i rubinetti nella nostra dimora. Ne sanno qualcosa quelli che si sono ritrovati con le cantine, i negozi, i piano terra, allagati e gli altri che hanno provato a superare fulmini e secchiate o, come li chiamano i metereologi con il loro linguaggio arcaico e un po' buffo, "rovesci temporaleschi".
In breve: la capitale è affogata, così come accade puntualmente a Milano e a Torino, a Bari e a Napoli, oppure come a Bergamo e Siena nel luglio scorso, a Monza ad agosto, a Taranto a settembre, basta l'acquazzone stagionale e i tombini sono intasati, gli scarichi si ingolfano, gli alberi sradicati, i lampioni divelti, le strade, ormai più nessuna a schiena d'asino ma da qualche somaro disegnate, si trasformano in torrenti, le grondaie grondano, i fiumi si gonfiano paurosamente, esondano, tracimano, una volta dicevasi "straripano", prima si annuncia lo stato di allerta, dopo lo stato di calamità, ma lo Stato, quello vero, resta assente; basta un colpo di vento e i telonati non dovrebbero circolare, in caso di neve scuole chiuse e uffici deserti, quando il sole picchia allora il caldo è africano e si consiglia di non uscire. Paralisi.
Di certo il clima è davvero cambiato e in peggio. Risulta dagli studi, l'emisfero settentrionale della Terra ha subìto negli ultimi cinquanta anni una trasformazione sensibile e preoccupante per colpa del gas serra, il calore in eccesso accumulatosi nell'atmosfera dagli anni Novanta in poi è aumentato di tre volte e mezzo, l'umidità è in crescita esponenziale, l'uso e l'abuso dei condizionatori, presenti dovunque, automobili, camion, uffici, abitazioni, rifresca gli ambienti e sputa fuori, in contemporanea, aria caldissima, a volte fetida e inquinata che da qualche parte dovrà pure andare a mischiarsi con altra aria, rendendo la respirazione difficoltosa.
Da qui l'esplosione di fenomeni atmosferici, alla voce nubifragi, meno rari di un tempo. Dinanzi ai quali, nell'anno del Signore duemila e undici, siamo con i piedi in acqua, naufraghi e profughi. Le previsioni metereologiche non sgarrano di un solo minuto prima di un pit stop in un gran premio di formula uno ma sembrano ubriache o approssimative quando vengono interrogate per conoscere quello che accadrà per il resto della popolazione non in pista. I sistemi di rilevamento sono sofisticati, nel senso buono, ma, a volte, meglio sarebbe rispolverare detti antichi, da cielo a pecorelle o rosso di sera, da nebbia bassa a una rondine, per una prevenzione immediata e low cost. L'Italia è lunga, stretta, ma piccola e uguale dovunque quando il cielo si abbassa, si fa scurissimo e incomincia a scaricare. In due ore è il finimondo.
Il nubifragio non è uno tsunami, per fortuna, ma lo provoca a livello politico nostrano, le fazioni sguazzano nel fango delle accuse, Alemanno si dimetta, De Magistris resista, Fassino abbia pazienza, piove governo ladro è un'imprecazione che non riguarda più il peso del sale o del grano, zuppi, che favoriva i balzelli statali. Ma i cittadini fradici? Le case allagate? Chissenefrega.
Il bollettino meteorologico è diventato un momento di spettacolo televisivo, messi in museo colonnelli e graduati, dimenticati Bernacca e Giuliacci, oggi si va con le donne, giovani,belle, acchiappanti, le quali distraggono dall'eventuale annuncio drammatico, accarezzano gli Appennini, fanno una smorfia ai mari, promettono un fine settimana assolato. Resta il problema: si può andare avanti con la paura, direi la certezza, che al primo temporale debba scattare l'emergenza? Chi è il responsabile della manutenzione di fogne, tombini, scarichi e affini? Non c'entra la politica, piuttosto il buon senso, se in un condominio non esce acqua dai rubinetti si chiama l'idraulico, uno bravo, efficiente, e non di destra o di sinistra. Idem come sopra dovrebbe essere con il resto delle opere e strutture. Ma questa è l'isola che non c'è.
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