«Gli italiani? Sono ancora razzisti»

PARADOSSI Ma non ricordano le pagine nere della nostra storia di operai nel mondo

Nel 2010 «siamo ancora all’odio. Ora muto, ora scandito e ritmato dagli sfottò, ora fattosi gesto concreto»: così la storica Giulia Galeotti conclude, sull’Osservatore romano, un articolo dedicato al razzismo degli italiani nel quale denuncia un «odio muto e selvaggio verso un altro colore di pelle che credevamo di aver superato».
Per il giornale vaticano, «oltre che disgustosi, gli episodi di razzismo che rimbalzano dalla cronaca ci riportano all’odio muto e selvaggio verso un altro colore di pelle che credevamo di aver superato. Per una volta, la stampa non enfatizza: un viaggio in treno, una passeggiata nel parco o una partita di calcio, non lasciano dubbi. Non abbiamo mai brillato per apertura, noi italiani, dal Nord in giù. Né siamo stati capaci di riscattarci, quando il “diverso” s’è fatto più vicino, nel mulatto, a prescindere dalle diversissime cause per cui ciò è avvenuto. Sia stato il risultato di un atto d’amore o, invece, di uno stupro, ben difficilmente abbiamo considerato quel bambino come nostro, al pari dei nostri. Anzi, la doppia appartenenza è sembrata (e continua a sembrare) una minaccia ulteriore. In questo, davvero a nulla è servito l’esempio americano: l’Obama-mania che imperversa trasversalmente, dalla politica all’arte, dallo stile al linguaggio, non ha invece fatto breccia alcuna nel dimostrare il valore dell’incontro tra razze diverse».
Galeotti parte da un canto popolare napoletano, «Tammurriata Nera» per affrontare i fatti di Rosarno, dopo le condanne dei giorni scorsi pronunciate dal cardinale Tarcisio Bertone e da Papa Benedetto XVI. «Ci aveva pensato Napoli, dove nel 1945 Edoardo Nicolardi - all’epoca dirigente di un ospedale cittadino - aveva scritto la celeberrima Tammurriata Nera. Nel vivace botta e risposta con la gente del vicolo, il protagonista-spettatore commenta un fatto «strano», la nascita di un bambino nero da una ragazza partenopea. Nella canzone lo stupore per un fenomeno nuovo («io nun capisco ’e vvote che succede/ e chello ca se vede nun se crede/ è nato nu criaturo è nato nirò) e diffuso (’sti cose nun sò rare se ne vedono a migliarè), viene spiegato in modo affascinante e singolare: «E vvote basta solo ’na guardata/ e ’a femmina è rimasta sotta botta impressionatà. Interviene quindi il parularo: poco importa che sia dalla pelle bianca o nera, rimane una creatura».
Nel 2010, invece, siamo ancora all’odio. Ma quello dell’Osservatore non vuole essere un atto d’accusa all’Italia e agli italiani, quanto piuttosto un «contributo a un dibattito su questo tema che interessa anche il nostro Paese», dice il direttore dell’Osservatore romano Gian Maria Vian in merito all’articolo. «È un articolo scritto prima dei fatti di Rosarno - precisa Vian - e scaturito dal caso Balotelli e da altri episodi di razzismo cui l’autrice ha assistito in treno. È un articolo a cavallo fra storia della letteratura e storia del diritto.


Certo, resta il fatto che il razzismo è estraneo alla tradizione cristiana perché quest’ultima è fondata su una fede a vocazione universale». D’altro canto, osserva ancora il direttore dell’Osservatore, «la linea della Santa Sede sul fenomeno migratorio è molto chiara: questo è generato da violenza, fame e povertà e si tratta di problemi che vanno risolti».

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