Spettacoli

Ito Sachio e il tempo dei sentimenti. Che non è mai perduto

Rimembranze leopardiane e narrazioni proustiane nelle prose del poeta giapponese

Ito Sachio e il tempo dei sentimenti. Che non è mai perduto

Nella lingua giapponese, non esiste il futuro. Per parlare e scrivere del futuro si utilizzano avverbi ed espressioni ipotetiche. Tutto sommato questo, per dirlo brutalmente, potrebbe sembrare un eccesso di prudenza, e la prudenza, anche per il nostro dire e scrivere del futuro, non è mai troppa. Ma nel giapponese, di fatto, non esiste neppure la forma verbale del passato: quando si dice e si scrive del passato, lo si fa proiettando all'indietro la condizione mentale, trasformando il passato in presente. Chissà, forse senza saperlo, Marcel Proust pensava in giapponese...

Poiché il giapponese si esprime sempre al presente, il loro presente i giapponesi lo centellinano nei rituali e lo parcellizzano in una miriade di frammenti dell'anno, a petto dei quali le nostre quattro stagioni risultano tagliate con l'accetta. Infatti le stagioni giapponesi possono durare una decina di giorni, o anche meno, come la fioritura dei ciliegi, che ne dura uno solo (e in Giappone viene stilato un calendario della fioritura prevista, città per città). A chi volesse sapere come ciò influenzi e indirizzi la vita, e conseguentemente la cultura, dei giapponesi, consigliamo due saggi di Terada Torahiko (1878-1935), riuniti sotto il titolo Per un istante fragranza di terra (Lindau, pagg. 81, euro 12, traduzione e prefazione di Marcello Rotondo). Il primo saggio, La visione della natura dei giapponesi, prende in esame la percezione delle condizioni atmosferiche e degli eventi sconvolgenti che in Giappone ricorrono, come tifoni, terremoti e tsunami. Il secondo saggio, Il meteo e lo haiku, si concentra sui kidai, cioè i vocaboli che, per così dire, servono a taggare i componimenti poetici, fornendo inequivocabili indizi sul tempo della loro stesura.

Per avere poi alcuni tra i più chiari esempi non in forma poetica di quello che Basho (1644-94) chiamava, relativamente allo haiku, il «principio di transitorietà e immutabilità», occorre rivolgersi a Ito Sachio (1864-1913). Il grande poeta dell'epoca Meiji, dopo aver letto il romanzo più famoso in Occidente del suo contemporaneo Soseki Natsume, Io sono un gatto, si dedicò anche alla prosa. La tomba del crisantemo selvatico e altri racconti (Lindau, pagg. 123, euro 14,50, traduzione e postfazione di Deborah Marra) è la sua prima raccolta edita in italiano. La transitorietà nell'immutabilità e l'immutabilità nella transitorietà che cosa sono? Semplicemente, la memoria. Questa è la cifra delle storie di Ito in forma di rimembranze, proprio come quelle di Giacomo Leopardi.

E che cosa c'è di più transitorio e immutabile dei sentimenti umani? In La tomba del crisantemo selvatico assistiamo a una storia d'amore tanto intensa, innocente, pervasiva, quanto fluttuante, aerea, in dissolvenza fin dal suo nascere. La madre del quindicenne protagonista Masao è alle prese con i disturbi della menopausa. Per aiutarla nelle faccende domestiche giunge da loro Tamiko, cugina di Masao e pressoché sua coetanea. Fra i due ragazzini c'è subito grande sintonia. Giocano, ridono, scherzano, si prendono un po' in giro. Ma non è il sorgere di un'amicizia. È qualcosa di diverso che i due non hanno mai provato... In famiglia quel legame è visto come peccaminoso, e ciò inquieta e spaventa i giovani. Le piccole spedizioni a raccogliere le melanzane e il cotone sono esperienze di immersione nella natura, parentesi edeniche da cui Masao e Tamiko rientrano a casa più forti eppure più deboli. Saranno gli altri a impossessarsi del loro tenero amore, e a stropicciarlo, rovinandolo per sempre.

Lo schema dell'io narrante alla maniera di Proust, ovvero con un Ito che vive a fianco di un Ito che ricorda, si ripete negli altri tre racconti. In Il fiore della spiaggia c'è la visita a un vecchio amico, e il rammarico nel trovarlo distaccato, freddo, quasi ostile. In La nipote, al contrario, c'è il piacere di scoprire che il matrimonio della giovane si è rimesso in sesto, dopo che il marito ha smesso di bere e di giocare d'azzardo. E in La casa della balia il narratore torna alla sua prima infanzia, a quando aveva quattro anni e il distacco dall'adorata tata gli provocò la prima ferita della sua dolente esistenza.

Perché sì, tutto è transitorio, ma tutto resta per sempre.

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