Pier Augusto Stagi
«Mi sono comportato come si fa tra signori: confermo di aver ricevuto diverse offerte, fra le quali quella della Discovery Channel, ma a Riis mi lega un rapporto particolare. Lui è stato il primo a credere in me, mi ha voluto capitano della sua squadra e quindi gli dovevo qualcosa. Non potevo lasciarlo». Così parlava Ivan Basso. Era il 18 luglio dello scorso anno. Era sulle strade del Tour de France, una corsa che terminò alle spalle di Lance Armstrong, che vinse il settimo tour consecutivo. «Ivan sarà il mio erede, mi sarebbe piaciuto averlo alla Discovery, perché lui rappresenta il futuro», disse il texano, prima di congedarsi dal ciclismo pedalato. È trascorso un anno. Sono soprattutto passati 132 giorni da quel dannatissimo 30 giugno. Si era a Strasburgo, vigilia del via del Tour. In Spagna era esploso lo scandalo doping «Operacion Puerto». Medici e ds arrestati con laccusa di traffico di emodoping (autoemotrasfusione). Tra i sospettati una cinquantina di corridori, tutti registrati con nomi in codice. Nel calderone ci finiscono anche Ullrich e Basso. Settimane e mesi di attese e carte bollate. Il 12 ottobre il capo della procura antidoping del Coni, Franco Cosenza, chiede larchiviazione del caso Basso; il 27 ottobre, la Federciclismo archivia per mancanza di prove. Qualche giorno dopo Ivan Basso divorzia da Bjarne Riis, e in pratica sancisce la nuova intesa con la Discovery Channel di Lance Armstrong e Johan Bruyneel, società che non ha mai cessato per un solo momento di credere in questo ragazzo dalle qualità non comuni. Laccordo cè. Manca lannuncio ufficiale, che arriverà oggi, dallo stesso team americano. Basso resta quindi nel grande giro del ciclismo, in una delle formazioni più forti del mondo. Diciamo pure che rientra dalla porta principale, anche se sono molti i team a storcere il naso, soprattutto quelli che chiedono a gran voce di inserire lesame del Dna nel codice etico.
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