Si può leggere in chiave alta, da intellettuale duro e puro, oppure da povero mortale la serata-sorpresa a chiusura del MiTo, dove allAlcatraz si sono esibiti in una informale jam session Lou Reed, Marc Ribot e John Zorn. Una notte dimprovvisazione estrema (come fanno dabitudine a New York), brutale e spocchiosa nel suo singolare impatto ritmico e armonico. Da «intellettuale» senti la chitarra di Reed ossessiva e anarchica; quella di Ribot aggressiva, dissonante, cattiva entrambe a sfrigolare (con più o meno violenza e partecipazione) febbrili brandelli sonori a sostegno del sax impazzito di Zorn acuto, penetrante, cacofonico nei suoi virtuosismi. In quei tre strumenti cè tutto e il contrario di tutto: la libertà del jazz e il rumore, lorganizzazione e il caos, il sogno e la realtà, la vita e la morte. Senti gli echi di Ornette Coleman e di Fred Frith, la odierna follia urbana, la primordialità del blues che bada più allessenza che alla sostanza. Sono tre geni ma esagerano.
Quindi se non ti vergogni di non essere un intellettuale e sei uno qualunque, che magari ama pure Coltrane ma non vuol perdersi in questa Babele di suoni (come han fatto molti che se ne sono andati sconcertati dalla sala) ti viene sulla punta della lingua la famosa frase di Fantozzi sulla corazzata Potemkin.Jam session senza frontiere Sarà libertà creativa ma è una boiata pazzesca
Commenti
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.