«Fibrillazioni da non sottovalutare». Allarmi continui che vengono lanciati dagli 007 italiani. Chiedono «massima attenzione». Hanno paura davanti a una «minaccia costante». Sono anni che l’Italia vive con il nemico accanto, con il rischio che da latente è diventato evidente. Il primo a colpire è stato il terrorista Mohammed Game. Il suo tentativo fallito alla caserma Perrucchetti di Milano ha scoperchiato un mondo sommerso. È solo il caso più rumoroso, è solo il più famoso. Dietro ci sono decine di arresti, intercettazioni, pedinamenti. Ci sono le frasi di Maroni che mettono in guardia: «C’è un’evoluzione che mi preoccupa molto». Questo lo diceva a ottobre. Ora l’allarme è diventato rosso. Dietro, un'escalation di segnali inquietanti. Gli aspiranti terroristi sono diventati un gruppo, si sono organizzati in cellule. Sono cresciuti in casa nostra. Da quell’11 settembre di nove anni fa, sono diventati forti, numerosi. Per cinque anni l’Italia è stata a pieno titolo una retrovia operativa di Al Qaida: qui sono state organizzate missioni suicide, arruolati martiri e combattenti raccolti fondi per i campi di addestramento per futuri kamikaze. Già nel 2006 gli inquirenti avevano puntato su Imola. Partono le intercettazioni, i pedinamenti. Erano forse i primi allarmi, i primi segnali preoccupanti. Il 20 giugno del 2009 i risultati: sei rinvii a giudizio per associazione terroristica internazionale. Uno scatolone con documenti in arabo e cd-rom inneggianti al supremo sacrificio in nome dell’islam li aveva inchiodati. L’obiettivo del gruppo era portare terrore in Occidente. Ma non solo; il gruppo forniva supporto economico e logistico. Si stavano organizzando per andare a combattere in Irak o in Afghanistan. Potenziali kamikaze o supporto martiri. A capo della cellula, Khalil Jarraya, tunisino di 40 anni, detto «Il colonnello». Il soprannome se lo era guadagnato sul campo, in Bosnia a fianco dei Mujaheddin durante la guerra nell’ex Jugoslavia. In Italia era diventato un reclutatore di aspiranti combattenti. E sembrano essere proprio i tunisini i più pericolosi. Il Gruppo salafita tunisino per la propaganda e il combattimento negli anni ha messo le radici nel nostro Paese tanto che i tunisini costituiscono da soli quasi la metà del totale dei terroristi islamici condannati in Italia.
Milano è una piazza a rischio. A dicembre del 2008 quattro marocchini vengono arrestati. Progettavano attentati nel capoluogo lombardo. I loro obbiettivi erano le caserme, i supermercati, i centri commerciali. Uno di loro predicava nel centro culturale «Pace» di Macherio. Sono 216 le minacce terroristiche all’Italia vagliate nel 2008. Ma è il 2009 l’anno in cui le azioni degli inquirenti si fanno più pressanti. È l'escalation terroristica ai massimi livelli. A settembre la digos di Brescia assesta un colpo durissimo: dieci call center a Brescia, Reggio Emilia, Ancona, Ascoli e Macerata vengono chiusi. Decine di centralini aziendali venivano saccheggiati dei codici da phone center italiani che li riciclavano per finanziare cellule islamiche in Asia. Il denaro frodato finiva ai Paesi considerati a rischio di fondamentalismo. Sono stati spediti negli ultimi cinque anni ben 400mila euro. Il 28 marzo, su ordine del ministro Maroni, vengono espulsi due tunisini ritenuti pericolosi: sarebbero esponenti salafiti. Imbarcati con volo diretto per Tunisi. Entrambi erano arrivati a Lampedusa lo scorso 8 luglio e avevano immediatamente chiesto lo status di rifugiato presso la questura di Agrigento. Ma non è la prima espulsione. Una settimana prima altri due nordafricani ritenuti pericolosi vengono rimpatriati con due voli da Milano e da Bologna.
Decine le condanne, 106 gli estremisti scovati fino a oggi. Ma la guerra non è finita.
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