Controcultura

Jazz, poesia, ragazze La vita secondo Vian

Cento anni fa nasceva lo scrittore «patafisico» che diede anima (e musica) alla Parigi anni '50

Jazz, poesia, ragazze La vita secondo Vian

Non voleva crepare prima di aver baciato la ragazza più bella del mondo, ascoltato tutto il jazz da New York a Parigi, composto la canzone perfetta, scritto il romanzo indimenticabile. Non voleva crepare prima di averci spiegato perché la vita è preziosa anche quando sembra quieta disperazione, fatica senza ricompensa, lenta agonia, attesa della morte. Nel 2020 si festeggia il centenario di Boris Vian, nato a Ville-d'Avray, il 10 marzo 1920 e morto a Parigi, il 23 giugno 1959.

Boris Vian, chi era costui? Riassumere non è facile, quindi andiamo per accumulo: jazzista, compositore, scrittore patafisico, autore sotto pseudonimo di noir americani, poeta, attore, conduttore radiofonico, discografico, drammaturgo, pittore, traduttore. Per chi volesse ulteriori dettagli, c'è Boris Vian 100 ans, Le livre anniversaire (a cura di Alexia Guggémos e Nicole Bertolt, Heredium, pagg. 260, euro 39,95). Italia lo conosciamo poco e quel poco (quasi) tutto grazie all'editore Marcos y Marcos che anni fa tradusse i romanzi principali. Le bellissime poesie, Non vorrei crepare, sono invece nel catalogo di Newton Compton. I dischi (...)

(...) si trovano con relativa facilità. La canzone più nota è Il disertore, scritta ai tempi della guerra d'Indocina, nel 1954. In Italia è stata portata al successo da Ivano Fossati. Mancano all'appello diverse cose, ma l'essenziale c'è. Dunque fatevi un regalo. Cominciate da La schiuma dei giorni, proseguite con Non vorrei crepare, approdate a Sputerò sulle vostre tombe. Il primo è il capolavoro di Vian, un delicato e tragico romanzo d'amore. Due ragazzi, due ragazze e un cuoco scoprono quanto è divertente e giusto e sensato perdere la testa. Sognano in un mondo da sogno, sembra il paese delle meraviglie di Alice, ma il destino è crudele. Il paese delle meraviglie si trasforma nella Metropolis di Fritz Lang e l'amore rivela l'altra sua faccia, che lo rende ancora più necessario e disperato. L'altra sua faccia è la morte.

Pochi, anzi nessun, romanzo è commovente come La schiuma dei giorni. Dopo averlo letto viene voglia, contemporaneamente, di gettarsi nel fiume con le tasche piene di sassi e cercare una festa piena di ragazze carine. La morale sembra sciocca ma è solo leggera, la leggerezza di chi come Boris Vian, malato di cuore, sceglie l'amore perché sente il fiato della morte sul collo. Vian: «Solo due cose contano: l'amore, in tutte le sue forme, con ragazze carine, e la musica di New Orleans o di Duke Ellington. Il resto sarebbe meglio che sparisse, perché il resto è brutto». Eccola qua, la morale, così semplice che ci arrivano solo alcuni tipi di uomini: i puri, i pazzi o i veri saggi, quelli che prendono a calci il culto del nulla così conforme alla nostra epoca. Le poesie di Non vorrei crepare espongono un progetto semplice. Il mondo è doloroso. La vita è breve. Meglio non perdere tempo in discussioni e dedicarsi alla propria felicità, per quanto possibile: «Non vorrei crepare/ prima di aver consumato/ la sua bocca con la mia bocca/ il suo corpo con le mie mani/ il resto con i miei occhi/ Non dico altro bisogna/ restare umili/ Non vorrei crepare/ prima che abbiano inventato/ le rose eterne/ la giornata di due ore/ il mare in montagna/ la montagna al mare/ la fine del dolore». Sputerò sulle vostre tombe è un tipico romanzo hard boiled alla Raymond Chandler, autore del quale Vian era il traduttore. Per aggirare la censura, Vian si firmò con lo pseudonimo Vernon Sullivan. Il 23 giugno 1959 Vernon Sullivan era al cinema Marbeuf di Parigi per assistere all'adattamento di Sputerò sulle vostre tombe, il più aspro dei suoi noir. La lavorazione non era stata facile. Al contrario Vernon-Boris aveva chiesto alla produzione di cancellare il suo nome dalla pellicola, troppo edulcorata. In sala, dopo cinque minuti, inizia a lamentarsi: «E questi dovrebbero essere americani». Sono le sue ultime parole. Poco dopo muore d'infarto a soli 39 anni. Vian conosceva bene gli Stati Uniti, in particolare la musica jazz. Non solo dirigeva un ramo della casa discografica Phillips, ma aveva anche presentato a New York una trasmissione radiofonica sul jazz a Parigi. Era stimato da Duke Ellington e Miles Davis, che portò a esibirsi (e incidere) in Francia. Le sue canzoni, nel frattempo erano interpretate dai giganti, Juliette Gréco e Yves Montand, per fare un paio di nomi. Un ragazzo lo segue attentamente nelle esibizioni dal vivo: Lucien Ginsburg, nome d'arte Serge Gainsbourg. Dirà in seguito di aver deciso di comporre brani dopo aver ascoltato quelli di Vian.

Le esposizioni francesi nel 2011-2012 hanno svelato l'officina letteraria dell'ingegner Vian: sorpresa. Sono moltissime le pagine scritte di getto e rimaste quasi senza correzioni nonostante avessero come primo lettore Raymond Queneau, sponsor editoriale di Vian. Fatto quasi incredibile. Vian infatti si distingue per l'originalità del tono e la varietà del linguaggio. I libri di Vian buttano nel frullatore argot, gergo specialistico, slang americano. Ma Vian era un ammiratore dei latini e dei greci, da cui trae il gusto (ironico) per la retorica e un vocabolario all'occasione (ironicamente) pomposo. Andava di fretta, Boris Vian. Sapeva di avere le ore contate. Non voleva crepare prima di aver suonato per intero la sua canzone.

Alessandro Gnocchi

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