Jazzin’ Festival La kermesse dell’Arena finisce in Incognito

Tra un mese esatto festeggeranno i loro trent'anni di vita musicale in una grande festa-concerto. Per questa data, che segna un giro di boa importante di tutta una carriera improntata sul pionierismo e l'avanguardia jazzistica, gli Incognito hanno scelto Greenwich, Gran Bretagna. Ma andiamo per gradi. Quest'oggi la band inglese si esibirà come ormai vuole tradizione all'Arena Civica nell'ambito del Milano Jazzin' Festival, chiudendo così la rassegna iniziò il 2 luglio scorso. Nella kermesse, che quest'anno ha ospitato big del calibro di George Benson, James Taylor, Simple Minds, gli Incognito sembra passino come è il loro nome a suggerirci. Ovvero: inosservati. In realtà sono sì conosciuti da pochi, ma c'è un'enorme nicchia che li apprezza per quello che hanno creato dalla fine degli anni '70 ad oggi. Pionieri di un genere parallelo al jazz più classico, gli Incognito hanno creato una breccia nella strada che conduce al jazz più incontaminato, concependo quel sound definito «acid jazz». Autore di questa miscela di jazz, funk e soul è certamente il leader della band Jean-Paul Maunik, meglio noto come «Bluey». Originario dell’isola Mauritius, è stato lui ad addolcire il jazz che all'epoca girava Oltremanica, con ritmi più caldi e allegri, contrapponendosi al filone dark inglese. Il titolo del primo cd già voleva dare un'anticipazione del genere: Jazz Funk (1981). Tardò ad arrivare il secondo album (Inside Life, 1991), anche se il successo rimase imperterrito.

Lo show di stasera ripercorrerà le vecchie glorie (come la rivisitazione di Don't You Worry 'bout A Thing, pezzo celeberrimo di Stevie Wonder), anche perchè di novità discografiche rispetto all'ultima, Tales from the beach (2008), non ce ne sono.