Cultura e Spettacoli

Jeremy Irons porta in scena «Le braci» di Sandor Marai

Dal 15 febbraio l’attore inglese interpreterà i soliloqui di Henrik nel capolavoro dello scrittore ungherese

Aridea Fezzi Price

da Londra

Personalità riservata e impermeabile all’onda del successo, insofferente della sua condizione di celebrity, Jeremy Irons lascia momentaneamente il cinema per ritornare, dopo quasi vent’anni, alla sua prima grande passione, il teatro. Interpreterà i tormentati soliloqui del protagonista di Le Braci di Sandor Marai nella riduzione teatrale di Christopher Hampton, in scena al Duke of York Theatre da metà mese. La prima ufficiale, per i critici e i vip, sarà il 1º marzo. L’adattamento per il teatro inglese di uno dei capolavori dello scrittore ungherese (1900-1989) è già un avvenimento in sé, e ha il sapore della rivincita per la sua opera bandita in Ungheria per decenni e scoperta dopo la sua morte, ancora oggi non annoverata del tutto nella pleiade della grande narrativa mitteleuropea. Jeremy Irons sembra fatto su misura per questo ruolo difficile e sofferto.
L’ultima volta che aveva calcato la scena aveva interpretato Riccardo II per la Royal Shakespeare Company nel 1988 quando affermò la sua statura di attore dopo i debutti nel 1981, nello sceneggiato televisivo Brideshead Revisited di Evelyn Waugh e nel film La donna del tenente francese. Poi ci furono altri film, un Oscar nel 1990 per la sua interpretazione di Claus von Bulow nel film sul celebre processo, il maltrattato Lolita, «l’unico film interessante che ho fatto», il successo del suo Antonio nel Mercante di Venezia con Al Pacino, e alla fine uno o due musicals in America. Poi la vita ritirata in campagna con la moglie, l’attrice irlandese di gran razza Sinead Cusack, il gusto per il restauro di un diroccato castello del ’500 nell’Irlanda meridionale. Ma sempre latente, come in agguato, una gran voglia di ritornare al teatro di prosa, «di misurarsi ogni sera in un rapporto diretto col pubblico».
Ma che cosa lo ha spinto ad accettare questo ruolo difficile, il lungo quasi ininterrotto soliloquio di un ex-ufficiale asburgico che nella solitudine nel suo castello ha ostinatamente atteso per quarantun anni, invano, una rivincita che doveva risarcirlo di un tradimento subito. Non sappiamo ancora come lo renderà Christopher Hampton, già autore della premiata riduzione delle Liaisons dangereuses, ma certo per Jeremy Irons sarà un tour de force. Selettivo e ambizioso, spiega di aver cercato la pièce giusta per tre anni, scartando i classici «perché ci sono tanti attori classici migliori di me», e rimpiangendo che non ci fosse niente di nuovo di Tom Stoppard, la cui The real Thing gli guadagnò un Tony quando la interpretò a Broadway nel 1984.
Ha accettato Le Braci, Embers il titolo inglese, «perché Henrik, il protagonista, è un uomo lucido, molto diverso da me, e volevo una pièce che dicesse qualcosa che non era ancora stato detto», ha dichiarato. In Embers a intrigarlo fu l’analisi dell’amicizia fra uomini. Il regista Michael Blakemore l’ha interpellato perché aveva bisogno di un attore capace di interpretare un settuagenario con l’energia di un giovane, in grado di recitare sera dopo sera un testo letterario denso e profondo, un attore insomma che «come Irons fosse capace di dar vita a un teatro puramente di parola». Quando cominciò a recitare all’Old Vic di Bristol tutti vedevano in Irons un nuovo Peter O’Toole, oggi l’attore cinquantasettenne è un perfezionista a oltranza, la sua aria riflessiva e malinconica, l’ansia in fondo agli occhi, un senso permanente di disagio, sembrano calzare a meraviglia il ruolo di Henrik, accanto al quale l’amico Konrad (Patick Malahide) non pronuncia che poche battute.
Sullo sfondo oltre all’ombra della moglie di Henrik, Krisztina, il crollo di un mondo, quello dell’impero, e l’amarezza dei cambiamenti.

Anche questo sembra calzare Jeremy Irons, che non è un animale politico, spiega, non è Harold Pinter né Meryl Streep, ma è sempre più sospettoso dell’Eurocrazia di Bruxelles, e dal New Labour è passato a difendere la caccia alla volpe come un conservatore.

Commenti