I fan del rock sono incazzosi ma hanno un grande cuore. Laltro ieri agli Arcimboldi di Milano, per la rassegna Milanesiana, hanno insultato e fischiato Antonio Scurati ed altri autori che precedevano il concerto dei Jethro Tull, per poi sostenere con affetto ed emozione la band e soprattutto il funambolico flautista Ian Anderson, che si aggrappava ad ogni artificio per tirar fuori quella strana e lirica voce che non cè più. Un grande concerto comunque per il quarantennale del gruppo, con tappe tra laltro al Pistoia Blues festival. Un altro artista sarebbe stato lapidato; non Anderson, il pirata più amato del rock. Spettatori di solito non teneri con gli artisti mi raccomandavano: «non essere troppo severo con la voce del grande Ian». E poi a risistemare tutto cè il suo flauto magico che si accende di sottili lampi classici, simbizzarrisce in fragori, si pasce di melanconie blues e di strani versi che lui musicalizza spettacolarizzandoli, suonando in equilibrio su una sola gamba comè tradizione, condividendo con i fan un passato che non vuol passare.
Così si nutre di nuove versioni, sempre attuali, melodicamente e ritmicamente ridistribuite con geniale immaginazione, di Living In the Past, della evocativa A Song For Jeffrey, della bizzosa Too Old For Rock and Roll, con le chicche Serenade To a Cuckoo (omaggio a Roland Kirk) e soprattutto della sua sempreverde rilettura della Bourrée di Bach. Anche gli altri - splendido lantico compagno Martin Barre alla chitarra - danno il meglio in un incrocio di blues, jazz, folk e progressive che ha avuto tanti imitatori ma che resiste ancora, per tecnica e feeling, alla prova del tempo. È un tour celebrativo per ricordare i primi tempi della band: quelli epici di This Was e Stand Up. Onore al gruppo che non indulge ai suoi successi più pop e glamour.
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