da Milano
Ci sono personaggi il cui mito si alimenta con lassenza. Tra questi cè la «signora del canyon», Joni Mitchell, voce di velluto in «un cuore di cactus» (come si definisce in una sua grande canzone) inattaccabile fuori ma morbido e vulnerabile allinterno. È la mamma di tutte le cantautrici (ma anche Madonna e Prince la mettono in testa alle loro preferenze) che hanno studiato il suo incredibile canzoniere-passaporto per volare dalle radici folk al jazz, a Mozart, cercando di unire nella sua voce le armonie della West Coast e i colori di Botticelli. Regina del «circolo di Bloomsbury» degli hippie, grandissima nella sua arte quanto incompiuta nei celebri amori (Crosby, Nash, il batterista Larry Klein), la Mitchell è nota anche per i suoi frequenti ritiri... Il suo ultimo album è Taming the Tiger del 98; poi nel 2002 la sofisticata antologia Travelogue che rilegge il suo repertorio con la London Symphony Orchestra e lennesimo proclama: «starò lontana dalla latrina corrotta della discografia dove nulla è genuino».
Ma nel suo viaggio (partito dalla pittura da cui il destino la rapì per trasformarla in folksinger) verso un approdo che non cè la Mitchell è tornata alla musica e il 24 settembre pubblicherà Shine, un album nuovo di zecca. Pochi giorni dopo il re del piano jazz Herbie Hancock farà uscire River: the Joni Letters, omaggio al «songbook» della cantante con la collaborazione di Leonard Cohen, Tina Turner, Norah Jones, Corinne Bailey Rae e della stessa Joni nella ballad The tea Leaf Prophecy.
Per un ritorno alla grande negli States Joni ha scelto di affidarsi alla catena di bar Starbucks Coffee, mentre in Europa il suo album sarà distribuito dalla Universal. Seguendo lesempio di sir Paul McCartney (che ha pubblicato Memory Almost Full con la Starbucks vendendo la metà delle copie del cd, circa 500mila, attraverso i negozi del colosso americano), anche Joni sè fatta sedurre dalla Starbucks, dopo aver lavorato a una compilation dei suoi brani preferiti. Così Shine riprende un po il discorso lasciato in sospeso con Timin the Tiger; ballate in cui lartista si cala con vivo realismo nella vicenda emotiva dei testi, voce acuta e al tempo stesso calda (magicamente etstesa su quattro ottave), un tocco di classica e di musica dambiente. Così si siede al piano nello strumentale One Week Last Summer che incrocia sperimentazione, Debussy e suoni chill out; evoca le aperture jazz dellalbum Mingus in This Place, torna alle radici acustiche nellinno contro la guerra Strong Is Wrong e nellecologica If I Had a Heart, chiude con i toni elegiaci di If, ispirata da Kipling, e si collega al passato con la rilettura dellambientalista Big Yellow Taxi, tratta da Lady of the Canyon (il mitico album del 70 che contiene classici come The Circle Game e Woodstock. La magica combinazione di testi e musica di una donna che si definisce «malata di libertà» non perde il suo fascino dopo oltre quarantanni di carriera (il primo lp, Song to a Seagull, è del 68); la sua vena al tempo stesso popolare ed intellettuale è lontana dallinaridimento e si butta su nuovi percorsi come il balletto The Fiddle and the Drums che ha debuttato in Canada e presto andrà in giro per i teatri di mezzo mondo.
Insomma è lanno di Joni Mitchell. Dopo lomaggio A Tribute to Joni in cui Prince, Bjork, James Taylor e altri hanno celebrato i sui successi, ora Herbie Hancock in River: The Joni Letters ha organizzato un tributo jazz rock alla cantante.
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