Jumblatt spara a zero su D’Alema «L’unità del Libano non si baratta»

La replica della Farnesina: «C’è stato un equivoco: nessuno ha mai parlato di scambi con la Siria»

Forse è solo un malinteso. Forse è l’espressione più manifesta dello scontento nei confronti di Massimo D’Alema sospettato d’eccessiva compiacenza nei confronti della Siria. Le interpretazioni più accreditate per spiegare il violento attacco di Walid Jumblatt al nostro ministro degli Esteri all’indomani della visita a Damasco e Beirut oscilla tra questi due versanti.
Il nostro ministero degli Esteri propende decisamente per l’equivoco. Un equivoco generato, fanno capire, da un banale errore di traduzione. Il capo della diplomazia italiana «non ha evocato alcuno scambio» o «mercanteggiamento» con la Siria, ribadisce Pasquale Ferrara capo del servizio stampa della Farnesina, sottolineando come D’Alema si riferisse soltanto all’opportunità di coinvolgere costruttivamente Damasco nel processo di stabilizzazione regionale. Secondo il portavoce «alcune agenzie di stampa» hanno frainteso quanto affermato da D’Alema che aveva, invece, illustrato in modo «trasparente e chiaro» le ragioni del voto dell’Italia a favore dell’istituzione del tribunale internazionale sull’omicidio dell’ex primo ministro libanese Rafik Hariri. L’Italia, secondo Ferrara, ha sempre ribadito con chiarezza e determinazione l’intangibilità della sovranità e indipendenza del Libano.
A Beirut, fonti vicine al leader druso, fanno intendere che quel malinteso è stato, invece, la goccia capace di far traboccare il vaso, il catalizzatore della rabbia e del malumore covato da Jumblatt per l’ostentata e ripetuta importanza attribuita alla Siria dal nostro governo. Una posizione considerata anacronistica e inaccettabile da Jumblatt e da altri esponenti dell’esecutivo di Fouad Siniora.
Tutto inizia all’indomani della visita di D’Alema, durante l’incontro del leader druso con un leader religioso. «Non ci sarà alcun baratto – tuona Jumblatt - né sull’indipendenza e sull’unità del Libano, né sul Tribunale internazionale, né ancora meno sulla sicurezza del paese o sugli accordi di Taif» . Jumblatt dice chiaramente di considerare «imbarazzanti» le parole con cui 24 ore prima D’Alema auspicava «uno scambio con la Siria sulle questioni dell’Iraq, della Palestina e del Libano». Per il capo dei drusi libanesi, nemico giurato di Damasco, alleato del premier Fouad Siniora e a suo tempo di Rafik Hariri, l’ex premier assassinato da un camion bomba, parlare di «scambi» equivale «ad andare a far la spesa al bazar o a concludere un baratto... qui – ripete – non c’è alcuno scambio da fare». Un’orgogliosa difesa dell’indipendenza libanese e un secco no, insomma, a qualsiasi intesa con il regime siriano accusato di nascondere dietro le proposte «melliflue» rivolte al nostro ministro degli Esteri i consueti disegni destabilizzanti. «Proprio mentre il ministro D’Alema arrivava a Beirut da Damasco per esprimere sostegno al governo libanese il nostro esercito intercettava un camion pieno di armi e munizioni destinato ad un gruppo ben preciso... come sempre D’Alema ha ascoltato da Damasco parole melliflue regolarmente contraddette dai fatti». Ovviamente il navigato politico Jumblatt non trascura d’offrire a D’Alema la strada per una comoda e dignitosa ritirata. «Spero che quanto sentito – aggiunge - sia stato un sbaglio linguistico o un errore di traduzione». La strada del malinteso, puntualmente perseguita dalla smentita della Farnesina, non spiega però la virulenza dell’affondo di Jumblatt.

Su quel «come sempre», fanno notare a Beirut, bisogna invece soffermarsi per comprenderne il senso. Il senso di un attacco deciso per far intendere a Massimo D’Alema e al nostro governo che i tentativi di restituire alla Siria il ruolo di grande decisore dei destini libanesi non sono più ammessi.

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