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Kakà e Seedorf la danza nella pioggia per una finale da 10

Kakà e Seedorf la danza nella pioggia per una finale da 10

Milano - Dieci come il numero della maglia che dovrebbe portare Kakà. Dieci come il numero di Seedorf, campione finito in lacrime e tra le braccia di Ancelotti. Dieci gol per condurre il Milan alla finale di Champions. Essere un dieci o sentirsi un dieci, ovvero l'impossibilità di essere normale. Meravigliosa identità dimostrata a quello sguaiatello portoghese che si è presentato a San Siro con l'istinto della foca. Cristiano Ronaldo fa il colpo di tacco e Kakà, che fa sempre rima con qualità, si prende il pallone e fila via come sparato da un cannone: serio, elegante, terribilmente deciso a far male. Guarda a testa in su e lancia palla da destra a sinistra. Poteva già esser gol se qualcuno...là in fondo la sagoma di Inzaghi e Ambrosini per esempio.
Cinquantotto secondi per dire questo è il mio marchio. Un’esibizione per far spalancare gli occhi al mondo, non solo agli inglesi. Il resto del tempo per disegnare una partita, pittore che sprizza colore sulla tela, per architettare la stangata, per segnalare al mondo che non a caso è il capocannoniere di Champions. Attenti a quei due, ce lo eravamo detti tutti. Ma quei due chi? Rooney e Ronaldo per esempio. Oppure Kakà e Inzaghi. Oppure Kakà e Cristiano sempre lui il portoghese. No, quei due sono la coppia più classicheggiante del calcio nostro, di quello milanista, certo di quello da Champions. Kakà e Seedorf, il golden boy e lo zio d'Olanda, Tex Willer e Kit Carson, per qualche attimo, qualche attimo solo, Raffaello e Michelangelo: dannatamente diabolici, calcisticamente perfetti nel capirsi, nell'intendersi, nel rifilar coltellate calcistiche a quel diavolo inglese che la maglia bianca ha reso un poco più esangue.
Sono stati architetti di un sogno e killer ai quali lucidare la scarpa. Bellissimi nel gesto tecnico, ognun a modo suo. Kakà con la straordinaria giovinezza e l'esplosività di un fisico reattivo e pieno di talento. Seedorf che sembra parli anche quando gioca. L'oratoria, insieme alle moto e al gioco del pallone, è uno dei diletti preferiti di questo olandese che durante la stagione pareva incartapecorito, ma in questo finale è il miglior spot del gerovital. Nessun dubbio sulla sua bravura calcistica, qualcuno sulla resa a lungo termine. Ogni tanto Seedorf ha l'aplomb del monsignore e ieri sera non si è negato la benedizione: prima la palla trasformata in oro dal sinistro di Kakà, poi quel gioco da palla avvelenata al limite d'area che ha ricamato in gol con il suo destro ad ammutolire gli inglesi e a deprimere il povero Van der Sar, che non avrà mai ben compreso il termine Bel Paese.
Seguire la partita sotto il diluvio attraverso i loro piedi è stato come ascoltare la sinfonia che ti riempie l'anima, godere calcio a dispetto del risultato. Chissà ora che cosa dirà Platini? Nessun intenditore potrà soffermarsi sui se... e sui ma... È stato calcio mai monotono, ma sempre con il tocco in più. Qualcuno penserà per fortuna che c'era il Ricardo.
Tre è un numero perfetto e lui lo ha raccontato con i gol che hanno tenuto in scacco il Manchester per una settimana, eppoi definitivamente demolito: due in Inghilterra e quello di ieri fascio di luce sprigionato dal suo sinistro. Dieci gol in Champions, tre che valgono un pallone d'oro. Fors'anche quello che gli ha messo sul piede Seedorf. Il ragazzino guizzava e quell'altro dimostrava tutto il bello dei suoi 31 anni, anche calcistici. Tre gol di Kakà per distruggere il Manchester, tre reti di Seedorf in questa Champions per raccontare ai nipotini la sua quarta finale giocata con tre squadre diverse. Impresa da record.

Ma il dio del pallone sa dove guardare.

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