Cronaca locale

Keith Haring, l’arte concettuale che metteva le passioni al muro

In Triennale un’antologica dell’artista americano

Keith Haring, l’arte concettuale che metteva le passioni al muro

Luciana Baldrighi

Un esperimento inedito per l’Italia, ma già praticato da lungo tempo in molti Paesi d’Europa: «Sonorizzare la fruizione dell’arte». Tradotto, significa realizzare concerti, performances, installazioni sonore in interazione con alcune grandi mostre. Il primo appuntamento per la nostra nazione è stato pensato dalla Triennale insieme alla mostra «The Keith Haring Show» in programma da oggi al 29 gennaio a cura di Gianni Mercurio e Julia Gruen, coprodotta con la Chrysler. Aprono il percorso Subway Drawing, seguiti da disegni e sculture e il telone Palladium e Terremotus creato per le discoteche di New York, l’ultimo su commissione di Lucio Amelio. Amante dei fumetti Alechinsky e Lèger, la forza calligrafica di Haring la troviamo negli «Electric boogie».
L’attività artistica di Haring prende forma dagli anni Ottanta fino alla fine degli anni Novanta. In questo breve periodo la sua frenetica attività lo porta a produrre un’infinità di opere e conquistare tutto il mondo, a partire dai suoi graffiti del South Bronx, opere costituite da «wall drawing» metropolitani, teli, disegni, sculture, oggetti e gadget che lo hanno fatto diventare uno dei maggiori protagonisti di quel fenomeno sociale «mass-mediologico» che è il graffitismo. Purtroppo la sua esperienza finisce con la sua morte avvenuta a soli 32 anni.
«L'arte deve essere per tutti e dappertutto», diceva Keith Haring, esprimendosi ovunque e su ogni superficie possibile, dai muri stradali ad enormi teloni, e dipingendo anche vasi grezzi e forme primordiali di legno. Un'ampia antologia delle opere di questo artista americano, morto di Aids nel 1990 a New York, è esposta nel «Keith Haring Show», inaugurato ieri.
Haring deve la sua notorietà all'esplosione del fenomeno del «graffitismo» metropolitano, alla fine degli anni Sessanta a New York, e poi dilagato in tutto il mondo. Un fenomeno che nel giro di pochi anni divenne una vera e propria «emergenza» sociale, tanto che il Comune di New York, tra il 1970 ed il 1978, spese 52 milioni di dollari in interventi di pulizia dei muri cittadini e delle carrozze della metropolitana, arrestando settemila ragazzi, autori di quegli ingombranti graffiti eseguiti con bombolette spray.
Keith Haring tuttavia arrivò al graffitismo con un bagaglio culturale ben più profondo di quei ragazzi scatenati. Nato a Reading, Pennsylvania, aveva frequentato regolarmente la «School of Visual Art» di New York avendo come maestro Joseph Kosuth, guru dell'Arte Concettuale. Partecipare al graffitismo fu per lui appunto un'operazione concettuale. Anche lo stile delle sue figurazioni fu diverso dalle «tag» stradali. Vi erano infatti richiami a Pierre Alechinsky, Jean Dubuffet, Henri Matisse ed all'Action Painting nel suo intreccio di motivi ideografici in continua mutazione, nella sua folla di figurine stilizzate, dai colori squillanti in spessi contorni neri. Vi comparivano qua e là figure umane con teste di animali.


Intorno a questa imponente retrospettiva è stata realizzata un’ambientazione sonora inneggiante alla New York degli anni di Keith Haring.

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